Recensioni vedrà, di esservi riuscita. L'Adorno che q11ando scriveva questo libro aveva evidentemente di fronte a sé la Feriomenologia dello Spirito, ha peraltro intuito la vuotezza concettuale dei passaggi kierkegaardiani, i quali ripetono, senza averne la forza, gli schemi hegeliani. Su questo piano del confronto sia diretto che indiretto fra K. ed Hegel, l'opera dell'Adorno esprime il 1nassimo del suo valore: K., nota l'Adorno, ha voluto fondare con la cate- . goria dell' « estetico » lo stadio dell'immediatezza, per cui il momento estetico « è nell'uomo ciò per cui egli spontaneamente è quello che è» (p. 172); tale stadio rappresenta quindi quella che sarà una costante del pensiero kierkegaardiano, cioè il momento « soggettivo », quel soggettivo ontologico ed universale che per K. è la « verità », dal momento che per lui «non esistono né un soggetto-oggetto in senso hegeliano, né oggetti contenenti essere; esiste soltanto una soggettività isolata, racchiusa dall'oscuro non-Io » (p. 84). Il mondo delle « cose » pur non nascendo idealisticamente dalla spontaneità soggettiva non riesce neppure ad assumere un valore oggettivo: il non-Io respinge l'Io su stesso e in esso scompare contraendosi nel « p,unto », 11el pensiero soggettivo. La rottura del rapporto sintetico essere-pensiero fonda lo stadio estetico: ma esso presentandosi come interiorità priva di oggetto deve compiere un movin1ento per uscire da se stesso e riguadagnare l'oggettivo, o meglio, con la tern1inologia kierkegaardiana, la « soggettività concreta» rappresentata dallo stadio etico per il cui raggiungimento l'individuo deve spogliarsi della sua interiorità: ne scaturisce un movimento per cui « una soggettività miticamente chiusa in se stessa si accinge a salvare, mediante l'evocazione, i 'rapporti umani fondamentali' e il loro senso» (p. 151). Stimolo di tale passaggio è l'azione morale: ma affidare la « soggettività concreta» alla prassi, all'azione (morale) può avvenire solo dopo aver ritrovato la formulazione teorica della soggettività medesima. I1 processo, nota l'Adorno, è inevitabilmente tautologico: l'organo dell'azione morale consiste, secondo K., nella « serietà» della -decisione; ma poiché il contenuto di questa serietà non può essere tratto dal mondo delle cose dove il soggetto non è ancora giunto, essa dovrà scaturire dalla stessa interiorità: toccando a quest'ultima di fornire il « senso » alla serietà della decisione il processo è inesorabilmente tautologico, in quanto il soggetto rimane il suo. proprio oggetto: per uscire dalla tautologia, K. avrebbe dovuto concepire -almeno fichtianamente, l'azione come unità di teoria e prassi; ma il deciso rifiuto della filosofia dell'identità porta la sua dottrina ad incontrare ovunque delle aporie, in quanto il suo centro, l'Io esistenziale, può essere definito solo tautologica1nente e resta sempre astratto: « La dottrina kierkegaardiana dell'esistere - scrive l'Adorno - si potrebbe chiam~re realismo senza realtà. Essa contesta l'identità di pensiero e di essere, senza tuttavia ricercare l'essere altrove se- non nell'ambito del pensiero stesso» (p. 218). Se K. di fronte al sistema hegeliano voleva fondare il « concreto», la sua formulazione ha fallito il bersaglio ed il suo Io si rivela astratto a dispetto di tutte le costruzioni da lui tentate, mentre invece Hegel « ha posto la questione della concrezione più energicamente di quanto 107 Bibliotecaginobianco
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