Giornale a più voci sicuro del fatto suo, si presentò nel '58 come candidato al Senato, lo elesse senatore con 30.817 voti. Il risultato del 1958, con le preferenze date ai candidati che usavano i ben noti sistemi e - e non si parlava di scarpe spaiate, ma di mille lire date in anticipo e altre mille alla consegna, cioè a elezione avvenuta -, riconfermava l'opinione pessimista, che dava per connaturato a Lecce un elettorato senza spina dorsale, pronto ad offrirsi a chi più colpiva l'immaginazione o a chi prometteva anche un minimo favore. E questo valeva non soltanto per un sottoproletariato fluido e volubile, ma anche e soprattutto per i medi e i grossi commercianti, e per la piccola borghesia, che appariva su questi argo1nenti alquanto vulnerabile. Arriviamo, però, alle elezioni del '63, e i risultati di queste appaiono un po' come la resa dei conti. Massari ritorna candidato per il PDIUM al Senato. Nella D. C., al candidato di destra, presidente della Provincia, che ha incominciato la sua carriera politica come podestà fascista di un paese vicino, viene preferito Agrimi, giovane e di sinistra, il quale, già eletto deputato, era poi stato sconfitto nelle elezioni del 1958. Dopo le ultime amministrative era stato eletto per consolazione sindaco di Lecce, approfittando di uno sfaldamento della compagine monarchica: consolazione pericolosa, perché l'intento dichiarato e sottinteso di quella elezione a sindaco sembrava quello di bruciare l'uomo più a sinistra - e forse anche di maggiore valore - della D. C. leccese, e di bruciarlo tra gli « affari » che le destre continuavano a fare al Municipio, approfittando della situazione barcollante della maggioranza che si appoggiava un po' di qua e un po' di la. Intorno ad Agrimi si veniva formando intanto un gruppo di giovani, i quali cercavano di impostare in maniera precisa i problemi della città, allargandosi a cercare punti di appoggio verso i socialisti e altre forze di sinistra, in opposizione alla politica tradizionalmente svolta dalla D. C. Ma, alla stretta finale, nella lista della DC non comparve neppure un loro nome, e la candidatura di Agrimi riuscì a prevalere perché imposta dalla segreteria del partito, cioè direttamente da Moro. Nonostante qualche nome nuovo, la scelta dei candidati della DC dimostrava che le forze di destra ancora prevalevano nel partito. E in verità i risultati che si ebbero furono una sorpresa. I candidati della vecchia guardia, impegolati in una campagna elettorale ancora ferma ai soliti metodi, in concorrenza con i liberali e i monarchici, vengono più o meno clamorosamente sconfitti. L'ex gerarca fascista Marcello Chiatante, che contava sul proprio fascino personale e su molte amicizie, eletto nel '58 dopo una dispendiosa can1pagna e poi scomparso per tutta la legislatura - il titolo di onorevole sen1brava fosse per lui soltanto un pretesto mondano· e di prestigio - riappare di nuovo e profonde mezzi ingenti nella campagna elettorale. ma non viene rieletto. Un altro candidato, anch'egli di precedenti fascisti, presidente della Camera di Commercio, usa gli stessi metodi e viene clamorosamente bocciato. Beniamino De Maria, ex alto Commissario 63 Bibliotecaginobianco
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