Nord e Sud - anno X - n. 44 - agosto 1963

Giornale a più voci benefico che potrebbe avere lo sviluppo regionale sarebbe un loro abbandono da parte delle popolazioni. Ma anche questo è un effetto da non trascurare, da non lasciare al caso, come ora avviene, e del quale occorrerebbe verificare l'effettiva opportunità: non è di secondaria importanza l'esaminare dove, ed entro quali limiti, un alleggerimento della pressione delle popolazioni rurali sia da ritenersi un fatto utile e positivo, e invece dove, ed oltre quali limiti, lo si debba considerare pregiudizievole per l'economia regionale, a breve o a lungo periodo. Nell't1n caso e nell'altro occorrerà studiare le forme di intervento per adeguare la trasformazione sia dei territori che della società rurale a livelli accettabili di sviluppo civile. Ma con quali strumenti? Rispetto agli interventi settoriali non coordinati fra loro, la politica dei poli di sviluppo ha segnato certamente un notevolissimo passo in avanti verso la pianificazione, con il coordinamento degli interventi secondo un piano, entro i limiti territoriali delle zone di influenza delle aree e dei nuclei. Ma vi è ancora un margine troppo largo lasciato alla mancanza di coordinamento, mancanza che dai vari settori si è trasferita ai vari territori. Dal momento in cui si è incominciato a parlare di programmazione e di attuazione delle regioni lo strumento dei poli di sviluppo è apparso come uno strumento manchevole di un quadro di coordinamento a scala regionale, di un inquadramento in una visione generale quale può essere data soltanto da un piano regionale. Da quanto si è detto discendono alcuni dubbi circa il modo con il quale vengono attualmente elaborati i piani delle varie aree o nuclei. Tali piani vengono affidati - in generale con una specie di concorso-appalto - a ditte specializzate. Alcune di queste ditte sono di indubbia serietà e se ne è avuta una prova al momento ~ella presentazione dell'ottimo piano per Taranto redatto dalla Tekne con la constilenza urbanistica di Giovanni Astengo. Ma non è sulla serietà o sulla capacità delle ditte pianificatrici che occorre riflettere: i dubbi e le perplessità sorgono sugli inconvenienti insiti in questo modo di pianificare per appalto. Per la stessa composizione dei consorzi, ben pochi contrappesi esistono a quella che eufemisticamente si potrebbe chiamare una pressione capitalistica sulla programmazione. Non esiste nessuna garanzia che forti interessi - sempre presenti quando si tratti di sviluppo industriale - prendano il sopravvento, a svantaggio a volte di interessi più generali. D'altra parte, non esiste neppure una garanzia contro il pericolo che questi stessi forti interessi, da un Iato, e pressioni campanilistiche, dall'altro, si alleino per compromettere con iniziative non idonee una parte del territorio che nel quadro di un piano regionale avrebbe potuto trovare una diversa e più felice destinazione. Un esempio: può accadere che si vogliano inserire impianti industriali in zone che dovrebbero, invece, essere paesisticamente salvaguardate, e quindi riservate ad uno sviluppo turistico: di fronte ad una simile prospettiva, è assai difficile che le autorità locali, attratte dal miraggio dell'industrializzazione, possano opporsi. Si avrebbe in tal modo una ripetizione piani53 Bibli·otecaginobianco

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