Giornale a più voci zioni o sollecitare interviste dai nostri uomini di scienza, ha sentito che improvvisamente attorno a lui si faceva il vuoto: nessuno voleva parlare per paura di compromettersi. Perfino i comunisti tacevano, evitavano di prender posizione (ma questo a noi appare chiarissimo, giacché ai co,rnunisti non recherebbe alcun vantaggio elettorale un Paese che si mettesse sulla via di diventare serio, onde essi si guarderanno sempre dal muovere un dito per incoraggiare intenzioni del genere). I nostri mali sono stati denunciati soltanto da uno straniero, che ama l'Italia per ragioni familiari e culturali, come il premio Nobel Bovet e dal Natta, un grande chimico che ha potuto condurre a termine le sue ricerche sulle materie plastiche solo mercé l'intervento di una grande industria, che gli ha fornito i mezzi negatigli dallo Stato. Le dichiarazioni di Natta sono sintomatiche: « Io avevo voglia di lavorare - ha detto l'insigne scienziato - non di dare la caccia alle cattedre. Ma mi trovai immediatamente in un mondo dove si aveva molto tempo per dare la caccia alle cattedre e dove non c'erano mezzi per cercare ... Lo Stato, da noi, non ha assunto ·un ruolo moderno. Finanza università; educa scienziati; ma investe nella ricerca solo lo 0,4 dei redditi nazionali. Una industria come la Montecatini investe il quattro per cento del totale del proprio fatturato. E il rapporto è significativo. Gli Stati moderni arrivano tutti a investimenti superiori. Persino il Lussemburgo investe quasi l'uno per cento. Perché la scienza è anche un affare ». Queste malinconiche considerazioni che coincidono poi con le conclusioni stesse del Cavallari, stanno però, secondo noi, ad attestare e denunciare una situazione che non è solo d'inerzia e di scetticismo da parte dei nostri uomini di Stato e degli stessi direttori di Istituti scientifici. Si tratta, in realtà, di qualche cosa di assai pi11 profondo e radicato nella nostra mentalità, di una sua tara storica, che si manifesta solo più vistosamente nel campo· ora considerato: e cioè la mancanza di senso pratico, l'assenza di realismo. L'intelligenza europea, quale ci appare dalle fervide pagine dell'inchiesta di Cavallari, è soprattutto un'intelligenza pratica, costruttiva, antireto,rica, antiintellettualistica. Noi ragioniamo troppo spesso per schemi e per formule, o, che è lo stesso, per astrazioni. L'unica cosa concreta, sono, troppo spesso, i nostri errori. E auguriamoci che il be] libro di Cavallari valga a renderne meno pesante almeno uno, che le condizioni del mondo contemporaneo fanno ritenere probabilmente il più funesto al nostro sviluppo di Paese moderno. RAFFAELLO FRANCHINI Pianificazione in appalto e intervento dello Stato Tracciare oggi un bilancio o esigere dei risultati dalla politica di localizzazione industriale nel Sud incentrata sui « poli di sviluppo » è certamente prematuro. Ma non sono premature alcune osservazioni che ci sembrano necessarie sul come fino ad ora tale politica si è andata attuando. 51 Bibliotecaginobianco
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