CRONACA LIBRARIA NARRATIVA NATALIA GINZBURG, Le piccole virtù, Einaudi, Torino, pp. 134. Natalia Ginzburg, fra tutte le nostre scrittrici, è quella che meglio riesce a sfuggire alle insidie di un troppo facile lirismo, ai languori di una struggente emotività: ed in questo senso possiamo dire che è la seri ttrice meno femminile. Intendiamoci: non che lei abbia tradito la sua natura o abbia soffocato una parte della sua personalità. Anzi. Ma una sorta di intimo pudore, di discreto riserbo - il pudore e il riserbo di chi ha imparato, con sofferenza, a valutare il prezzo della parola, secondo la bella espressione di Camus - le vietano di abbandonarsi appunto alla suggestione delle parole, a ·quel tono di esasperato sentimentalismo che caratterizza molta parte della cosiddetta letteratura femminile italiana. Per questo la sua pagina è sempre controllata, secca, essenziale, ricca comunque di una sua particolare, segreta liricità. La Ginzburg sa inoltre che nel suo mestiere è sempre presente il pericolo di diventare « furbi » e di « truffare [il lettore] con parole che non esistono davvero in noi, che abbiamo pescato su a caso fuori di noi e che mettiamo insieme con destrezza»; e perciò confessa di sentirsi a suo agio solo quando scrive « delle storie, cose inventate o cose che ricordo della mia vita ma comunque storie, cose dove non c'entra la cui tura ma soltanto la memoria e la fantasia». E a noi sembra che in tutta la sua non folta, ma notevole, produzione, sia rimasta costantemente legata a questo ideale di Bibliotecaginobianco profonda onestà che è morale, prima ancora che letteraria. In questo ultimo libro, uscito di recente nella collana Saggi dell'editore Einaudi col titolo Le piccole virtù, la Ginzburg ha racco! to undici pezzi che erano già quasi tutti apparsi su riviste e giornali. Ma non si pensi che si tratti di cascami giornalistici, o di se1nplici pezzi d'occasione, perché l'impressione che si ricava dalla lettura di questo smilzo ma denso volume e quella di una quasi costante ed eguale resa artistica. I saggi in esso contenuti ci riportano a varie stagioni della vita dell'autrice, nel corso delle quali molte cose sono accadute e non sempre lieti. Il libro si apre con uno scritto del '44 intitolato Inverno in Abruzzo, nel quale è rievocata, in poche pagine scarne e vibranti, l'esperienza di confinati politici, della scrittrice e del suo prin10 marito, Leone Ginzburg, in un paesino abruzzese. È un resoconto minuto e particolareggiato di quelle giornate forzatamente monotone, una cronaca scarna e obiettiva, anche se venata qua e là da una pungente nostalgia per la città, gli amici lontani. Ma il racconto si chiude col tragico annunzio della morte del marito, avvenuta per opera dei nazifascisti, e con un'accorata osservazione che gettano luce diversa e fanno collocare in una prospettiva nuova tutto il « ricordo »: « Davanti all'orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo è accaduto a noi, a noi che compravamo gli aranci 123
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