Nord e Sud - anno X - n. 44 - agosto 1963

I delfini rampicanti sinistre DC intorno alla crisi del centrisn10 (non solo come formula parlamentare, ma anche come equHibrio socio-politico e storicizzazione dei fini della DC) divenne per così dire ufficiale e la politica di piano fece breccia nel muro dei pregiudizi e degli esorcismi della "mentalità convenzionale". Bastò un po' di aria nuova, un po' di apertura ai risultati della moderna teoria economica e dell'indagine sociologica, per far risaltare definitivamente l'arcaicità e l'astrattezza, l'insensibilità culturale e l'assoluta inconsistenza storica di tutte le posizioni f er1ne nei cunicoli del centrismo. Ma bastò quel poco di aria nuova a rivelare anche qualche altra cosa: la sfasatura prodottasi fra lo sviluppo della società italiana e gli schemi interpretativi, la regola di condotta di un partito come la DC ». Domanda: È ca1nbiato questo vecchio schema? « Si, per noi è tutto diverso. Abbiamo assistito, o ne abbiamo preso coscienza più tardi, alle autonornie solo culturali, ideologiche, dei gruppi che ci hanno p-receduto, tipico quello raccolto intorno alla rivista Terza Generazione. Anzi, tanto per risalire alle origini, nel primo dopoguerra - quando i gruppi giovanili nacquero come ' specificazione organizzativa ' del partito - • i responsabili venivano scelti dall'alto in stretta connessione con l'indirizzo praticato dalle dirigenze 'adulte'. La linea di condotta nazionale, degasperiana voluta dai primi delegati nazionali Giorgio Tupini e Giulio Andreotti, esprimeva da una parte la pratica della tutela illuminata sui giovani dirigenti, dall'altra l'ufficialità che s'intendeva porre a copertura e a limite dell'organismo. Intorno al 1950 si manifestò una certa opposizione interna promossa dai giovani idealmente legati al dossettismo. Questo gruppo, i - cosiddetti 'teorici' di contro ai 'pratici' andreottiani, divenne maggioranza con il Convegno Nazionale di Ostia nel 1951 dove Franco M. Malfatti fu eletto delegato nazionale. Da allora c'è stata una certa caratterizzazione progressista ma senza scosse, tanto che i conti11ui dissensi non hanno mai provocato mutamenti formali nei rapporti fra il movin1ento giovanile e il partito ». « Siamo stati noi, dunque, a spingerci sulle soglie infide dell'autonomia politica, promuovendo l'opposizione, accettando il gioco di corrente, arrivando persino a episodi clan1orosi con1e il discorso di Celso De Stefanis al Congresso di Firenze ( 1959) che 1nise sotto accusa tutta la politica immobilista del partito. Non che fossimo incantati dall'attivismo fanfaniano, anche se dopo la famosa caduta della Domus Mariae il movime11to giovanile i!lgaggiò la sua battaglia per il ritorno di Fanfani... Sapevamo benissimo che l'attivismo e il rifor1nismo moderato erano solo una facciata esteriore di quel dottrinarismo così profondamente diviso fra teoria e prassi, incapace di portare avanti per le sue stesse caratteristiche un processo politico, davvero moderno. Cercavamo una breccia in cui far filtrare istanze che avvertivamo non solo nostre, ma tipiche di una società moderna e ci parve giusto agire in quel modo ». 115 Bibliotecaginobianco

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