L'Europa tra De Gaulle e Kennedy si svolgano così semplicemente, non ha meditato su un reale processo storico e sulla sua difficile generazione; chi crede che gli Stati Uniti temano la potenza europea dimentica i reali livelli di potenza nel mondo contemporaneo. Vorremmo dire addirittura che saremmo lieti se questa interpretazione fosse esatta: tutto sarebbe più chiaro, e sarebbe più facile anche fare intendere ragione ai nostri amici d'oltre-Atlantico! In realtà il processo che ha generato lo scetticismo delle classi dirigenti americane sull'integrazione europea è più torbido, più complesso, più difficile: in esso entrano fattori costitutivi della storia, dell'atteggiamento mentale, della psicologia politica america11a; esso si è svolto non già nella sfera della coscienza, ma un po' prima della soglia del conscio; esso si esprime piuttosto in intuizioni immediate che nella riflessione; esso è conseguenza finalmente dell'insorgere di nuovi problemi su scala mondiale e dello scontro tra opposte tesi sulle priorità politiche all'interno del personale politico degli Stati Uniti. Certamente, nessun uomo politico americano che fosse interrogato sulla questione direbbe che egli non è favorevole alla federazione europea; e tutti, anzi, si affrettano ad affermare che, sarebbero ben felici se questa federazione ci fosse o si facesse: ma v'è una differenza profonda tra queste dichiarazioni d'intenzioni e l'animoso impegno di dodici o dieci anni or sono. È mutato qualcosa nell'atteggiamento mentale e morale con c11i il ceto dirigente americano considera il problema dell'integrazione europea: per questo l'amministrazione Eisenhower si adagiò pigramente nel MEC, affidando all'impossibile automatismo di un passaggio dall'economico al politico il vecchio fervido europeismo di Washington; per questo l'amministrazione Kennedy, con il prammatismo e l'empirismo che la distingue (ed at1che, diciamolo pure, con l'ideologismo astratto che insidia spesso gli estremi del prammatismo e dell'empirismo), ha potuto porsi i problemi delle zone grige, del terzo mondo, sorvolando rapidamente sulle questioni europee, quasi che queste fossero risolte già una volta per tutte, salvo ad accorgersi poi a sue spese, nel momento in cui proponeva nuove opzioni strategiche o in cui tentava d'intrecciare il dialogo con Mosca, che quelle questioni non erano risolte affatto ed anzi le esplodevano tra le mani. E c'è da augurarsi che le difficoltà gravi i11cui il presidente Kennedy ed i suoi ministri e consiglieri si sono urtati in questi ultimi mesi li abbiano indotti ad una revisione radicale delle idee e dei programmi di politica estera con cui sono giunti al potere, abbiano fatto loro constatare come i rovesciamenti grandiosi tra i « non-impegnati », gli immediati successi dei piani Marshall per l'America latina, i nuovi e franchi negoziati con l'Unione Sovietica, sono tutte cose che si possono raggiungere solo con un'azione a lunga scadenza, tenace e costante, ma 37 Bibliotecaginobianco
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