Cesare De Seta tra loro>>; e Ricci continua: « La forma di una città non è altro cl1e la risultante dei concetti di vita degli uomini che vi abitano». Oggi domina la « tecnica » dell'urbanistica, quasi che operare sull'esistenza di una comunità sia « gioco di bussolotti». L'aver l'uomo come modulo è indispensabile per affrontare il problema della «pianificazione»: esaminare le condizio 1 ni di vita, farsi partecipe delle relazioni uomo-uomo, consapevole dell'enorme difficoltà che l'uomo contemporaneo deve affrontare per superare la solitudine, è primo compito di un vero urbanista. È una posizione esistenziale comune all'architetto, al sociologo o al docente, una posizione relazionata ad una comunità in cui si vive e di cui si vive. Questo impegno intensamente vissuto dal Ricci è - a dirla con lui - l'impegno dell'anonimo del XX0 secolo (da cui il titolo del volume pubblicato negli Stati Uniti da Braziller nel 1960). Anonimo del ventesimo secolo è chiunque tenacemente impegnato ad essere uomo quanto più è possibile, in una vita che sembra essere organizzata in modo tale, da renderci estranei, l'un l'altro, nemici l'un contro l'altro, e nel migliore dei casi relegati in una abulia, in una solitudine senza via d'uscita. Leonardo Ricci di via ne ha trovata una, e non sta a noi giudicare se sia la migliore o la peggiore, perché purtroppo la nostra stessa cultura più impegnata stenta a trovarne una e si limita, con dei risultati nel migliore dei casi non produttivi, al severo giudizio critico. È certo più comodo seguire una strada già battuta, ma se questa si dimostra insufficiente alle nuove esigenze di vita, è pur necessario che chi_ ha più coraggio e capacità per riuscire ne cerchi altre. Per questo ritengo che il libro di Ricci, uomo della generazione di mezzo, potrà avere notevole peso sulla formazione delle . . . . . generaz10,n1 g1ovan1ss1me. Bruno Zevi (Il testamento di un architetto su « L'Espresso » del 22 aprile 1962) ha dimostrato ancora una volta di essere all'avanguardia della nostra cultura afferrando in pieno il senso della tesi del Ricci. Solo una sua frase conclusiva non condividiamo a proposito di « Anonimus »: « Gli americani ne hanno subito captat~ la singolarità. In Italia siamo molto più disincantati in materia .... ». Troppo spesso si confonde l'ingenuità con la fecondità spirituale: la cultura americana è più sana, meno intossicata dalla retorica, ricca di energie più fresche e vitali e con una capacità di assimilazione che è tipica di chi è ancora giovane. A noi sembra che le ragioni del « successo veramente insolito ottenuto dal libro di Ricci» (B. Zevi, op. cit.), vadano da ritrovarsi porprio in questa capacità degli americani di cogliere quanto di meglio viene loro offerto. A tal proposito mi sembra efficace riportare una breve precisazione di Roberto Pane apparsa recentemente su « Napoli Nobilissima », dal significativo titolo « gli ingenui e noi »: « L'atteggiamento più comune degli italiani verso gli americani è dettato da una sorridente indulgenza simile a quella che si rivolge ai bambini. Spesso noi consideriamo l'americano come un popolo assai giovane e con delle ingenuità di cui noi così carichi di secoli 124 Bibliotecaginobianco
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