Recensioni cittadino che propriamente non è « impegnato » nella lotta clandestina di resistenza, per lo meno nei suoi aspetti di punta, anche se partecipe moralmente alla lotta clandestina per la Resistenza. Lui giornalista, lui scrittore, lui cittadino di sentimenti antifascisti, di fede liberale e democratica, entro pochi giorni dalla riapparizione del fascismo imposto dal tedesco invasore, il 1° ottobre 1943, finiva arrestato da quei « nuovi fascisti venuti fuori dal peggior elemento del vecchio fascismo », i quali formavano « la guardia armata di Palazzo Braschi », vale a dire il « direttorio » della « federazione repubblicana del'Urbe », il « fascio romano», tutta quella gente che, in una formazione di oltre quaranta individui, diventava poi l'oggetto di una operazione di polizia ordinata dal Comando tedesco nei riguardi di quella che passava nella cronaca e nella storia come la « banda di palazzo Braschi ». Il ·cittadino soggetto alla violenza fascistica osserva che per il « federale » sentiva « una certa pena»: « per lo squallore del suo viso, per la sua netta inferiorità, per la sua stupida crudeltà di uomo da nulla che si scatenava il giorno in cui per particolarissime circostanze era riuscito ad avere un posto di comando» (pag. 65). « Sembrava di entrare in un penitenziario nell'ora in cui gli ergastolani prendono aria», è il sentimento che esprime il prigioniero rispetto alla « casa del fascio», alla sede fascista di palazzo Braschi. Quando è trascinato al carcere di « Regina Coeli », nel « sesto braccio » destinato ai « politici», il prigioniero trova « avvocati, commercianti, operai, professori», i quali tutti condividevano con lui la qualifica di « traditore badogliano » per avere « salutato con sollievo la caduta del fascismo » (pagine 66 e 71). Ed era· proprio la « Federazione dell'Urbe», che « forniva il maggior numero di detenuti in condizioni pietose» (pag. 80), narra Ercole Patti; e descrive èon espressioni veramente efficaci la rivolta che si ebbe a verificare nel carcere romano in quel dolcissimo autunno (pagg. 63-83), dicendo che egli ebbe la soddisfazione di contemplare l'ingresso nel carcere, dove avevano condotto tanti innocenti, di « quegli stessi cl1e... avevano arrestato » lui, Ercole Patti; tutti individui i cui « no1ni venuti su col fascismo repubblicano avevano qualcosa di mostruoso nella loro anonimità » (pag. 82). « I repubblicani-sociali avevano bisogno di gente, non sapevano a chi affidare i loro giornali, i loro uffici, i loro ministeri » perché « tutti si squagliavano », narra poi Ercole Patti, a pagina 86, dicendo che egli era stato invitato ad esprimere i propri « desiderata » a colui che era stato nominato « ministro della gi11stizia » da Mussolini ed era nientemeno che lo stesso uomo che aveva avuto l'ufficio di presidente del « tribunale speciale per la difesa dello Stato », soppresso dopo il 25 luglio 1943. È in questo luogo la narrazione, per brevissim iefficaci tratti, di un incontro in carcere con quei fascisti che, quali membri del Gran Consiglio del Fascismo, avevano votato per l'ordine del giorno di Grandi la notte avanti il giorno della cacciata di Mussolini, e perciò erano dall'esumato « duce del fascismo » considerati rei di « tradimento dell'Idea » e tenuti come le vittime designate di un processo che avrebbe celebrato, in triviali mascherature giudiziarie, il « tribunale speciale 119 Bibl'iotecaginobianco
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