Nord e Sud - anno X - n. 40 - aprile 1963

Recensioni La caduta del fascismo, così, non produceva quella che doveva essere una conseguenza fatale di essa, la fine della guerra di regime. Aggiungi che la dichiarazione che la guerra sarebbe stata continuata si accompagnava alla dichiarazione veramente stupefacente che il fatto accadeva perchè l'Italia manteneva fede « alla parola data», inquantochè era « gelosa custode delle sue millenarie tradizioni»! Il « ritorno alla normalità costituzionale» fu il programma annunciato nel comunicato sulla prima riu11ione del consiglio dei ministri del nuovo governo, ma il problema fondamentale per la vita del paese, quello della cessazione di una guerra che era stata fondata e sempre spiegata e giustificata sopra esigenze e programmi di regime rimaneva insoluto. Ma poco più di quindici giorni dopo, il 14 agosto 1943, il governo italiano annunziava la decisione di rendere Roma una « città aperta ». Al compimento del quarantacinquesimo giorno di governo del Badoglio, poi, essendo ormai avvenuto lo sbarco del nemico in Calabria, era pubblicato l'armistizio fra l'Italia e gli Alleati. Quel che seguì nei drammatici giorni dell'8, del 9 e del 10 settembre 1943 è ben noto, tristemente noto: l'aggressione immediata dei soldati tedeschi, in ogni luogo, che dimostrava una preparazione perfetta (e una totale impreparazione italiana), la resistenza dell'esercito abbandonato a se stesso dal re e dai capi civili e militari, la partecipazione del popolo alla lotta. L'aggressore tedesco si attaccò allora alla formula della « città aperta » per imbastire una fraudolenta manovra allo scopo di guadagnarsi militari e civili italiani, dando ad intendere che avrebbe rispettato la qualità di « città aperta » per Roma. Uno dei principali agenti dei tedeschi in questa manovra, colui che allora era addetto all'ambasciata di Germania in Roma (e poi diventò l'« ambasciatore» presso il governo di comodo di Mussolini) nelle sue memorie ha rivelato che quella formula della « città aperta » fu usata per poter ottenere che militari e soprattutto civili, l'apparato dello stato italiano, confluissero senza speciali procedimenti nella organizzazione del « governo» e dello « stato» di dipendenza dall'occupante di cui i tedeschi intendevano servirsi, rievocando lo spettro del fascismo e servendosi dell'opera di Mussolini. Nove mesi durò l'occupazione tedesca di Roma, e quando quel tempo di universale « non collaborazione » della popolazione fu diventato un ricordo,, quando tutto il suolo d'Italia era finalmente liberato dal dominio tedesco e di quello che avanzava dell'onta che per venti anni si era riversata sull'Italia, Benedetto Croce, che rispetto all'oppressione era vissuto come « esule in patria », definiva quel periodo le « nonimestri catacombe », volendo significare il fenomeno della universale sottrazione dei cittadini agli ordini del nemico e dei fascisti collaborazionisti. La letteratura relativa ai nove mesi del tormento di Roma sotto il terrore nazista è folta e per gran parte egregia. In questa letteratura prende una posizione di eminenza lo scritto dedicato a « La città aperta » da Ercole Patti, in una serie di otto articoli che furono pubblicati dalla « Stampa» nel 1959. Ora quegli articoli rivedono finalmente la luce, e in una forma destinata a più duratura vita nel volume: 117 BibJiotecaginobianco

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