Nord e Sud - anno X - n. 40 - aprile 1963

Recensioni era l'alchimia, alla quale fin dal 1540 il Biringuccio nella sua Pirotechnia negava il carattere di scienza, affermando che poichè gli alchimisti adducevano « più autorità di testimonianze che ragioni di possibilità », non potevano persuadere << a chi benevqlmente considera, che l'arte alchemica sia vera» (p. 51), e che Agricola nel suo De l'arte dei metalli del 1556 distaccava definitivamente dalla scienza. Questo rifiuto dell'alchimia e delle scienze occulte da parte degli spiriti più avanzati del XVI secolo, rivela la nuova mentalità che si andava diffondendo e cioè la necessità di privare la scienza di quei caratteri di esotericità che la facevano propria di una ristretta cerchia di iniziati, circondandola di un alone di mistero e di impenetrabilità. Il Rossi aveva già, nel suo precedente volume del 1957, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, delineato il passaggio dalle scienze occulte alle scienze sperimentali vere e proprie, e le ricerche che qui compie sviluppano ed allargano quel tema inserendosi nell'assunto che il Rossi si propone, e cioè dimostrare che questi anni sono quelli in cui si va facendo prepotentemente strada l'idea che esista un collegamento fra gli studi puramente teorici e la pratica artigiana ed empirica, e che i primi, in ultima analisi, vivono in forza dei secondi che perdono così quei caratteri di indegnità che aveva loro attribuito il mondo antico e, sotto altro aspetto, quello medioevale. Così, per esempio, il Vesalio nel suo De humani corporis f abrica che è del 1543, « lottava per la convergenza, nella medicina, della teoria e dell'osservazione diretta; polemizzava contemporaneamente contro la figura del professore la cui sapienza si risolve tutto in parole e contro quella di un. sezionatore abbassato al rango di macellaio» (p. 18); e questa del Vesalio, come il Rossi dimostra attraverso i testi dell'epoca, non è una polemica isolata, ma trova riscontro in tutti gli esponenti più avanzati della cultura europea: attraverso lo studio di autori anche poco noti, quali il Norman, il Palissy, il Vives, il Gilbert, etc., il Rossi rivela la tendenza che in quegli anni si andava formando per una rivalutazione degli studi pratico-tecnici, ai quali viene riconosciuta definitivamente « la dignità di fatti culturali » (p. 20). Questo lento processo si fa strada mano a mano che le invenzioni di nuovi strumenti, dapprima opera di oscuri artigiani, poi di eccelsi scienziati, e le loro applicazioni alla vita sociale, militare, marinara, etc., ne rivelano l'utilità immediata; il Rossi, ovviamente, non si occupa del succedersi di queste invenzioni, quanto invece dell'atteggiamento mentale che le accompagnò, del processo intellettuale che portò ad una diversa mentalità, ad un diverso modo di considerare le scienze. Il concetto del regnum h9minis, dell'uomo che diventa quidam deus in Marsilio Ficino, dio del mondo in Campanella, dio de la terra nel Bruno, nasce proprio dalla mutata atmosfera spirituale, esaltata dalle grandi scoperte che fanno dell'uomo il dominatore della natura; onde il Ficino scriveva nella Theologia platonica che l'uomo « tractat... elementa, lapides, metalla et plantas et animalia, et in multas traducit formas atque figuras, quod nunquam bestiae faciunt. Neque uno est elemento contentus aut quibusdam, ut bruta, sed utitur 113 Bibliotecaginobianco

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