Antonio Carbonaro aun1ento di razionalità e nella razionalità con1e condizione dell'aumento della libertà. Difatti il liberalismo guarda alla libertà e alla ragione come ai fatti supremi dell'individuo; il marxismo come ai fatti supremi del ruolo dell'uomo nella costruzione politica della storia. Tuttavia, dice Mills, il segno ideologico della nuova epoca in gestazione - « qt1ello che la pone fuori dell'Età Moderna - è che le idee di libertà e ragione sono diventate opinabili e che non si può più accettare il presupposto che una 1naggiore razionalità contribuisca ad una maggiore libertà» (pag. 178). Prendiamo ad esempio le grandi organizzazioni complesse, sia pubbliche che private, le cosiddette burocrazie. Esse rappresentano spesso realizzazioni oggettive di razionalità tecnica; eppure, l'uomo che vi opera a qualsiasi livello non è consapevole del proprio ruolo e di come esso si inserisca nel contesto. Sopravvivono in ogni caso miti ingenui e superstiziosi. Uomini di altissima intelligenza tecnica sono alieni dal conoscere la destinazione spesso disastrosa della loro intelligenza. In sostanza, un alto livello di razionalità burocratica e di tecnologia non significa di per sé un alto livello di intelligenza individuale e sociale. Dal primo non si può dedurre il secondo. La razionalità sociale, tecnologica o burocratica, infatti, non è la semplice sommatoria delle volontà e delle capacità individuali di ragionare. Spesso, anzi, si direbbe che essa riduca la possibilità di acquisire quella volontà e quella capacità. Organizzazioni sociali razionali non equivalgono, ipso facto, a mezzi di accrescimento della libertà individuale, o della società. Spesso, invece, sono mezzi di tirannia, di coercizione, di eliminazione di ogni probabilità di poter ragionare, di poter agire come uomo libero. Sotto questa luce è facilmente comprensibile il ruolo che dovrebbe svolgere, secondo Mills, il sociologo. Egli deve lavorare senza escludersi dalla scelta di certi valori fondamentali. E fra i valori deve scegliere quelli che lo rendono « uomo di ragione » e cl1e lo pongono in grado di aiutare gli altri simili ad acquistare ragio11e. Il primo valore è quello della verità. Praticare le scienze sociali significa, anzitutto, in un mondo come il nostro, praticare la politica della verità. Il secondo valore è la ragione, che va potenziata nell'individuo e nella società. Il terzo valore fondamentale rimane quello della libertà. Gli scienziati sociali hanno ed hanno avuto vari modi per sostenere questi valori. Cioè essi si sono dati e continuano a darsi un ruolo che, rispetto a quei valori, può risultare pii.1 o meno efficace. Come è stato finora concepito il ruolo dello scienziato sociale come uomo dì ragione? Un prin10 modo contiene i1nplicito il tema del re-filosofo. È un po' la concezione aristocratica della cultura; concezione i cui esempi non si limitano a quelli classici più o meno analoghi della Repubblica dei Filosofi teorizzata da Platone, ma che ha contint1ato ad accompagnare le vicende di una storia ormai secolare e si è insinuata nelle stesse concezioni della democrazia di massa. Anche nei partiti di massa, o popolari, gli intellettuali spesso sono soliti chiudersi in un linguaggio esoterico, ermetico, convenzionale, che il grande p11bblico non comprende. Al popolo, in genere, viene propinata una 106 Bibliotecaginobianco
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