Nord e Sud - anno X - n. 40 - aprile 1963

Antonio Carbonaro arido. A parte la pungente malvagità di Mills nel ridurre a una semplicità elementare certi passaggi involuti della teorizzazione parsonsiana, sta di fatto che la critica sostanziale più valida alla grande teorizzazione è quella su cui la gran parte dei sociologi sono ora consenzienti. Parlare di sistema sociale in equilibrio, di sottosistemi, di ruoli, di interrelazioni tra ruoli, o tra ruoli e istituzioni sociali e tra istituzioni; in altre parole, costruire dei modelli strutturali e funzionali per limitare il campo di indagine e ordinare i fattori o le variabili principali che vi giuocano può risultare estremamente utile, purché non ci si lasci andare a considerare oggettivamente esistente un ordine puramente soggettivo, o n1entale, o classificatorio. Il vero scoglio ove si incaglia il tentativo parsonsiano - lo stesso Parsons lo ammette implicitamente - è rappresentato dall'insufficienza esplicativa della teoria del sistema sociale; la quale spiega l'ordine sociale costituito, la legge, la norma, gli strumenti di controllo sociale o i processi di socializzazione, ma non spiega - anzi le rifiuta - le eccezioni, le anormalità relative, le crisi, i mutamenti potenziali o in atto. In fin dei conti la troppo astratta e troppo generalizzata teorizzazione, invece che lin1itarsi a dire il perché e il come dell'ordine prevalente in un dato momento della storia, finisce col dame una giustificazione, una legittimazione. Indirettamente, così facendo, il sociologo presta un largo margine alla ideologizzazione dell'ordine sociale, che è così come è e non può essere altrimenti, dimettendo ogni possibilità umana di costruire la storia, di farla, di non subirla. Se il grande teorizzatore può considerarsi una sorta di divinità olimpica al disopra delle contingenze, l'empirico, rappresentante della terza tendenza sociologica, è troppo immerso nella realtà quotidiana. Il primo spazia aldisopra dello zenit; il secondo ha perduto la bussola dell'orientamento e spigola i fatti, li raccoglie, li colleziona fino ad esserne sommerso. È veramente penetrante la connessione che C. W. Mills fa tra tendenze sociali prevalenti e indirizzi di ricerca sociale. Fin quando prevaleva nella società l'impostazione liberale delle piccole riforme per ritoccare questo o quel particolare dell'ordine costituito, il sociologo si è dato una specializzazione estremamente limitata. « Il iiberalismo - scrive Mills - ha informato di sé la sociologia e la scienza politica (in U.S.A.). A differenza dei loro predecessori europei, i sociologi americani hanno rivelato una forte tendenza a trattare un particolare empirico per volta, un problema d'ambiente per volta ... Hanno persistito nell'idea che per ogni fenomeno sociale debba necessariamente esservi un grandissimo numero di piccole cause. Questo pluralismo causale è utilissimo ai fini di una politica liberale di piccole riforme. L'idea, infatti, che_ le cause degli eventi sociali siano necessariamente numerose, piccole e disperse, si trasforma facilmente nella prospettiva della praticità liberale» (pagg. 94-95). Quando poi il liberalismo è diventato, più che movimento di riforma, forma di amministrazione dei servizi sociali in uno stato del benessere, in uno stato assistenziale, allora il sociologo si e posto al servizio delle grandi organizzazioni complesse, diventandone il burocrate a latere, il funzionario strumentalizzato. Privo anch'egli, come tanti altri uomini co104 Bibliotecaginobianco

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