Nord e Sud - anno X - n. 39 - marzo 1963

Sergio Antonucci Ci è sembrato comunque che il convegno di Toririo abbia dato parecchie risposte alle domande espresse o inespresse da quello di Genova. E, dopo Torino, abbiamo ancor meglio apprezzato il senso delle parole dell'avv. Einaudi dell'Italsider: « evitiamo di discutere inutilmente, oggi, su problemi e situazioni che erano forse valide 5 o 6 anni fa, che oggi non lo sono più e ancor meno lo saranno domani, quando fossimo arrivati a delle conclusioni. .. ». Naturalmente la ricerca sociologica è uno dei presupposti per la risoluzione dei pro,blemi e riconosciamo al prof. Cavalli tutto il valore dei suoi studi sui meridionali a Ge11ova. E sappiamo che anche a Torino non sono trascurati questi studi nell'affannosa e urgente ricerca delle soluzioni immediate (si pensi alla attività del CRIS, doct1mentata pure dal volume Immigrazione e industria, edito da Comunità). Tuttavia ci sembra che al Convegno di Genova, intorno alla relazione del sociologo sulla situazione e sui problemi, ed a pochi altri interventi che si sono staccati dal generico e dal convenzio·nale, sia mancato qualcosa: forse il discorso concreto dell'amministratore, del politico, dell'economista, inteso a proporre le soluzioni ed i rimedi. Il risultato è cl1e a Genova si è ancora all'aneddottica della scoperta del meridionale, buo110 o cattivo. A Torino l'immigrato, meridionale o no, è un dato di fatto: un problema, ma che è entrato a far parte del tessuto della città. E, comunque, lo si guarda nella prospettiva delle centinaia di migliaia di unità, quelle presenti e quelle che continueranno a venire. A Genova si discute sul livello culturale del meridionale, si cerca di stabilire se esso è davvero così basso, e se la colpa è della scuola del sud o dell'ambiente familiare. A Torino si prende questo come un dato di fatto che prescinde da valutazioni di merito, approvazione o disapprovazione. E si parla di scuole costruite o da costruire, di aule, di mezzi di trasporto per arrivarci. A Genova si discute sulla casa, sul problema morale e sociale della mancanza della casa. A Torino si è parlato di vani costruiti, da costruire, di po,sti ospedale di case albergo per i lavoratori. A Genova si è parlato vagamente dell'esigenza di visioni globali nelle quali considerare il problema, di coordinare l'afflusso degli immigrati. A Torino queste « visioni globali », queste necessità di coordinamento ecc. hanno avuto l'unico nome, l'unica configurazione che era possibile: politica di piano. Ma forse a Genova sarebbe stato come parlare del diavolo in casa dell'acquasanta. Lo sforzo per adattarsi ad accogliere gli immigrati, di cui qualcuno ha parlato a Genova, è diventato a Torino impegno morale e civile, dovere e interesse della città (che in dieci an11i ha avuto anche una traduzione e~onomica nella cifra di 120 miliardi). A Genova sono state espresse preoccupazioni per il rovesciamento di equilibrio, il capovolgimento di forze che domani potranno determinare gli immigrati. E si è parlato del crescente interesse di partiti e sindacati per il problema. Qualcuno ha fatto un timido accenno, come una scoperta, alla funzione dei sindacati come strumento di integrazione dell'immigrato (né ancora si è arrivati a parlarne come strumento di elevazione sociale, di 70 Bibliotecaginobianco

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