Nord e Sud - anno X - n. 39 - marzo 1963

Giornale a più voci « Ne vuole un altro di esen1pio, più sorprendente Il grossista, l'esportatore che compra il nostro olio, non ha niente da dire: dopo averlo fiutato, ne apprezza la sua limpidità, la sua qualità, la gradazione. Ma lo stesso esportatore, se fiuta il prodotto nel nostro frantoio, dopo aver visto la macina meccanica, conclude immediatamente: l'olio sa di ferro. È convinto, vittima anche lui di un pregiudizio, che il nostro olio porta in sé un residuo, un marchio della macchina che ingoia e frantuma le olive. Le ruote di pietra, invece, non lasciano alcuna traccia nel liquido verdastro. Questa convinzione è in parte accettata dai nostri soci, pienamente da tutti i contadini. Inutilmente, impegnando tutta la nostra intelligenza e la nostra passione e il nostro disinteresse, spieghiamo cl1e la macina non contiene ferro, è fatta, tutta, dall'imbuto al più piccolo congegno, di acciaio inossidabile che non provoca alcuna contaminazione». La stessa diffidenza contadina sorge davanti al separatore. Perché? Basta osservare brevemente il ciclo di trasformazione del prodotto come avveniva nei frantoio quindici, vent'anni or sono: la massa premuta dalle presse dava un liquido verdastro composto di olio e di morchia, che si lasciava sedimentare per molte ore in grossi recipienti di legno. La sedimentazione era fondamentale: soprattutto la sua durata. Dopo interveniva il « cunsiere », il contadino specializzato (intendiamoci: una specializzazione ricavata dall'esperienza, spesso un'eredità: il padre trasmetteva al figlio il mestiere), che «tagliava», divideva, separava l'olio dalla morchia, dall'acqua, con una specie di paletta di rame. Un lavoro lento, paziente, che richiedeva tempo e pratica. Nel frantoio della cooperativa, invece, il liquido verdastro uscito dalle presse meccaniche, passa al superatore che, rapidamente e contemporaneamente « taglia», divide l'olio dalle morchie. In questo processo viene a mancare la fermentazione naturale. Il contadino, il coltivatore diretto si sente defraudato di qualcosa che ha il peso dei secoli e l'infallibilità del1' esperienza. Per i nemici, per gli avversari dell'iniziativa (frantoiani, mediatori e diffidenti) è facile e comodo additare alla mentalità contadina, per provocare la sua incrostata diffidenza, il separatore e la macina meccanica: il taglio non è regolare - dicono - senza la sedimentazione, l'olio sa di ferro. Malintesi, ricatti, calunnie, ironie, pregiudizi, incomprensioni: elementi inevitabili, tappe obbligatorie nel cammino di una cooperativa meridionale. Chiedo ancora che mi sia fornito qualche ragguaglio sul bilancio dell'istituzione. Il De Pinta mi risponde subito che a lui preme il bilancio delle paure superate, più di quello delle cifre raggiunte: « oggi la nostra istituzione presenta un bilancio positivo, il solo che conti per i soci in questo periodo: il pareggio. Un deficit che fosse intervenuto dopo alcuni mesi dall'inizio sarebbe stato fatale; ma nemmeno siamo sotto la necessità, e l'urgenza di aumentare gli utili per ogni socio. Ormai per molti di noi la cooperativa incomincia a diventare un bilancio di ricordi. Dodici anni addietro avevo cominciato a parlare di cooperazione ai miei colleghi che coltivavano la terra. Appena in nove siamo entrati nello studio notarile 51 Bibliòtecaginobianco

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