Nord e Sud - anno X - n. 39 - marzo 1963

Raffaello Franchini fica ripetere le stesse cose già dette da altri in sit1:1azioni profondamente diverse dalle nostre: proprio quello che egli non si stanca di rimproverare a taluni studiosi da lui definiti, con altra dizione originalissima, i « crociani ortodossi». Il bello si è che per superare il crocianesimo ortodosso, seguendo i suoi spassionati consigli, vi sarebbe, di nuovo, una sola via da seguire: ripetere punto per punto quello che Marx ed Engels e magari Labriola aveva110 scritto in un periodo di tempo distante da noi tra i centoventi e i sessant'anni. E possibilmente senza ripetere l'errore gravissimo del Croce (dichiara infatti in principio, orgogliosamente, l'Agazzi di non essere mai stato, a differenza di tanti marxisti italiani, un crociano) il quale « nonostante l'entusiasmo che nutrì per diversi mesi nei riguardi del materialismo storico, non seppe affrontare lo studio dei problemi ad esso attinenti con una totale assenza di presupposti e di soluzioni precostituite», cioè, in parole povere, osava, sin dal 1893, pensare col proprio cervello e formarsi delle convinzioni. Ammettiamo pure che questa per un marxista allo stato brado possa essere una colpa imperdonabile: resterebbe tuttavia da domandarsi come mai l'Agazzi; pur dandosi tante arie di storico imparziale, non abbia ritenuto oggetto degno di studio proprio la particolare, imprevista sintesi cui le precedenti esperienze crociane dettero luogo venendo a contatto con gli scritti di Marx e di Engels. Tanto poco il Croce era preoccupato di tener ferme, di fronte a nuove esperienze, e dunque soprattutto di fronte al marxismo, le sue precedenti convinzioni e soluzioni, che il sistema della filosofia dello spirito nasce proprio dalla radicale riforma di quelle convinzioni, se è vero che la Logica nega totalmente la memoria del '93 e la Filosofia della pratica è tutta fondata sull'ap-profondimento del motivo marxistico della praxis. Ma tant'è. Non mancano i casi in cui l'Agazzi dà al Croce dell' « incapace » (232), del « grossolano» (362), o asserisce che il suo concetto della scienza è ancor più arcaico di quanto non fosse quello positivistico (220); o, senz'altro, che non ha capito niente di Marx (286), e in fondo non lo ha nemmeno veramente letto (ivi). Dopo di che, ci si potrebbe ancora domandare perché l'Agazzi si sia dedicato con tanta pazienza a studiarlo. Piano. Questo sospetto è calunnioso. L'Agazzi ha messo le mani avanti fin dalla prefazione, tentando di giustificare in anticipo i fiorellini di cui sopra abbiam dato un saggio: « Cose consimili - scrive a pag. 17 - sono state dette contro qualsiasi grande filosofo, da Platone a Kant a Hegel, ecc., senza che ciò ovviamente abbia significato una loro sottovalutazione». Certamente, non sarà certo un Agazzi a indurre chiunque sia dotato di un minimo di senso critico a sottovalutare il Croce, e tutti conosciamo quella frase che il Croce stesso amava citare, secondo cui ogni grand'uomo resta tale malgrado il proprio cameriere. Comunque, queste dichiarazioni potrebbero almeno esser considerate un principio, anche se abbastanza strano, di pentimento, se invece non si avesse motivo di ritenere che l'Agazzi sia convinto proprio di avere scritto il suo libro per mettere in luce (co.ntro i crociani!) la « vera umana grandezza » del Croce. Tutto da ridere. 46 Bibliotecaginobianco

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