Giornale a più voci gianti potrebbero almeno fingere qualche volta di civettare - nel pericoloso sforzo di farci dimenticare Croce, l'Agazzi scrive su Croce un libro smisurato, in cui è riversato pressoché tutto il materiale bibliografico che il filosofo andò accumulando tra il 1893 e il 1900 intorno ad argomenti di carattere filosofico e segnatan1ente intorno al materialismo storico. Non era più pratico parlare d'altro? Tanto più che l'Agazzi avrebbe potuto ridurre a poche pagine tutto il suo enorme lavoro, solo che fosse stato dotato di una piccola parte di buo•n senso: il libro, infatti, è condotto con un metodo polemico di una semplicità addirittura elementare. Da un lato v'è la solita esposizione cl1ilometrica, pedantissima (la cosiddetta « analisi», di cui il nuovo positivismo marxista mena vanto come del ristabilimento di chi sa quale geniale metodologia)· di tutte le tesi crociane; dall'altra parte, stesso tipo di esposizione di tutte le tesi di coloro contro cui Croce polemizzò, da Labriola, a Sorel, a Pareto, oltre che naturalmente a Marx e a Engels. Si può a questo punto cominciare a giocare con se stessi, mentre si legge, alla scommessa, ché si può essere sicuri che per ogni tesi in cui più o meno Croce mostra di consentire con quelle marxiste, l'Agazzi conforta a sua volta, graven1ente, col suo assenso l'allor giovane filosofo napoletano; e viceversa, per og11i inizio da parte di Croce di vedute personali, difformi da quelle marxiste o labriolane, l'Agazzi ha pronto il riferimento al punto di partenza marxistico delle ricercl1e crociane, da lui considerato sempre « più avanzato», se non addirittura come tale da possedere già in sé la critica e il superan1ento, delle posizioni del Croce. Di suo l'imparziale storico si limita ad aggiungere che già nelle sue prime teorizzazioni il Croce si mostra chiarament_e per quello che continuerà ad essere fino alla fine, cioè un metafisico, t1n teologo, un conservatore, un idealista platonico (com'è ormai prescritto, la critica crociana all'idealismo hegeliano viene già da ora, in attesa di quanto l'Agazzi preannunzia di avere scritto nel secondo volume, considerata, a scatola chiusa, come non valida perché ignara degli scritti giovanili del filosofo tedesco). Lo schema generale secondo cui vengono costruite queste originali argonìentazioni - alle quali, per chi conosca i testi, si potrebbe ridurre tutto il volume - è un'ideuzza che viene avanzata e ripetuta con severità professorale e cioè che il Croce si sarebbe accostato al marxismo avendo già- in mente le linee essenziali del futuro sistema: fin dal principio, infatti, egli avrebbe distinto arte e pensiero dalla vita morale. Per influsso del marxismo, Croce avrebbe poi inserito il momento dell'economia nella sfera pratica, ma avrebbe tenuto ferma la sua distinzione fondamentale tra il pensiero come contemplazione e la prassi, precludendosi in tal modo la possibilità di intendere il marxismo, che avrebbe abolito una volta per sempre la distinzione di pensiero e azione. Che ci sia allora riuscito il Gentile, presso cui, fin dai suoi primi scritti, qùella distinzione non trovava credito? No, perché anche il Gentile era un idealista e dunque anche lui incapace etc. Insomma gli unici in grado di capire il marxismo sono, e questa è un'altra delle geniali scoperte dell'Agazzi, i... m_arxisti, giacché evidentemente per lui capire, quando, beninteso si tratta dei sacri testi, signi45 Bibliotecaginobianco
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