Ernesto Mazzetti nell'acquisizone di quel prestigio più verbale che effettivo derivante dalla possibilità di affermare la propria appartenenza a un ordine professionale, ad una associazione obbligatoria, cioè, riconosciuta e tutelata dallo Stato; e nell'impossibilità - stabilita dall'art. 45 - da parte di chi non sia iscritto all'albo professionale di assumere il titolo o di esercitare la professione di giornalista, senza incorrere nei rigori degli articoli 348 e 498 del Codice Penale, o in pene più gravi, in caso di intenti truffaldini. In pratica, ora che esiste l'Ordine, i giornalisti potranno perseguire penalmente i cosidetti « volontari », quei giovani, cioè, i quali, nella speranza di ottenere dai proprietari dei giornali il contratto di praticante, accettano di prestare la loro opera nelle redazioni in qualità di « sottosalariati ». Molti editori, anche dei più importanti e seri, hanno fatto ricorso a questa vera e propria forma di sfruttamento, tollerata peraltro dagli stessi organi sindacali dei giornalisti, da un lato timorosi di porsi in urto con gli editori, dall'altro di fare un danno ai «volontari» in servizio presso quei giornali che per i loro deficitari bilanci non sarebbero stati in grado di inquadrarli regolarmente nel1' organico e avrebbero quindi dovuto licenziarli. A nostro avviso, però, non era necessaria l'istituzione dell'Ordine per porre rimedio a tale deplorevole sfruttamento: bastava una energica azione sindacale, rivolta non contro gli «irregolari» (com'è rivolta, invece, la nuova legge, in virtù della quale essi corrono perfino il rischio di finire in galera), ma contro gli editori, allo scopo di indurli al rispetto dei contratti collettivi. Meglio ancora, i giornalisti avrebbero potuto sollecitare i11iziative veramente efficaci alla preparazione delle nuove leve: perché, a nostro avviso, il nocciolo del problema è proprio qui, e non già nella somma dei privilegi che i giornalisti possono o non possono chiedere alle autorità. A.nche su questo punto concordiamo pienamente con Ignazio Weiss, il quale afferma che il giornalismo non è soltanto un'arte, una predisposizione innata ad esercitare con successo il difficile mestiere di scrivere per i quotidiani, per la RAI-TV o per i rotocalchi; e che perciò è indispensabile « una preparazione specifica per risolvere in maniera adeguata il problema della corretta informazione del pubblico». Ci pare, infatti, che possa offrire molte maggiori garanzie di serietà e di correttezza il lavoro del giornalista _venuto su attraverso difficili corsi universitari atti a prepararlo specificamente all'attività pubblicistica, che non il lavoro del « praticone» che conosce di tutto un po', ma nulla approfonditamente, e che s'è fatto largo a gomitate coltivando le « buor1e amicizie». E così ci sembra evidente che nei confronti del primo l'esame post-pratican16 Bibliotecaginobianco
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