/ I giornalisti e la paura della libertà In conclusione, non è assolutamente possibile manifestare il proprio pensiero attraverso organi di stampa senza passare sotto le forche caudine dell'Ordine. La legge del febbraio scorso avverte, però, il pericolo di varcare i confini della incostituzionalità, e ritiene di poter ovviarvi ammettendo (art. 47) che la direzione di quotidiani o periodici di partito, o di movimenti politici, o di organizzazioni sindacali, possano venir diretti da persone non iscritte all'albo dei giornalisti, purché, però, venga nominato un vicedirettore che sia professionista, nel caso si tratti di pubblicazione quotidiana, o pubblicista, nel caso si tratti di un periodico. È molto poco, certamente, per parlare di rispetto pieno dell'articolo 21 della Costituzione. Purtroppo i contrasti tra la nuova legge e una benintesa libertà di stampa non si fermano qui. Infatti, anche a voler ammettere l'infondatezza di tutte le riserve sinora formulate, bastano due articoli della Legge sull'Ordine a motivare le più ampie perplessità circa le conseguenze che la nuo·va disciplina della professione giornalistica potrà avere sulla libera attività di chi la pratichi. L'art. 11 attribuisce al Consiglio dell'Ordine la vigilanza « sulla condotta e sul decoro degli iscritti » mentre l'art. 48 afferma: « Gli iscritti nell'albo, negli elenchi o nel registro che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell'Ordine sono sottoposti a procedimento, disciplinare ». Tra le sanzioni disciplinari previste sono la sospensione dallo \ esercizio della professione da due mesi a un anno, e la radiazione dallo albo,, ovvero l'inibizio 1 ne all'esercizio della professione. Anche qui v'è più grande discrezionalità nella valutazione delle colpe e nell'attribuzione delle pene. Per cui, qualora si insediassero alla testa dei Consigli regionali e del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti vicini ai detentori del potere, questi ultimi avrebbero nelle mani un poderoso strumento per imbavagliare i loro colleghi-avversari, colpevoli di opporsi, con campagne di stampa, con rivelazioni e con le altre risorse della loro professio·ne, alla politica dei gruppi dominanti. Qualsiasi pretesto sarebbe buono per giustificare una generica accusa di aver « leso il decoro e la dignità professionale ». Timori infondati i nostri? Tutt'altro, e possiamo solo augurarci che certe circostanze non abbiano a verificarsi. Ma l'ipotesi che si verifichino, di per sé stessa, è più che ammissibile. Tanto più che la Legge attribuisce al Ministero di Grazia e Giustizia il potere di sciogliere un consiglio, regionale o interregionale dell'Ordine, ponendo, quindi, nelle mani dell'ese13 Bibliotecaginobianco
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