Nord e Sud - anno X - n. 39 - marzo 1963

Mirella Galdenzi le tenaci strutture feudali della società isolana, sono rese dallo scrittore in un quadro d'ambiente gustosissimo. Le « caracciolate » vengono accolte con indignazione burrascosa e risentita, ma la vita della Palermo elegante continua a scorrere sul suo filo raffinato e lascivo: le splendide gentildonne di Palermo abbelliscono con le loro grazie il passeggio, offrendo ai gentiluomini d'alto rango materia costante di amoroso fantasticare, interi feudi si perdono al « biribissi », le esplosioni risentite contro il volterriano e miscredente viceré, che osa turbare costumi ormai secolari, s'intrecciano ai pettegolezzi erotici. È folla descritta con mano sapiente: personaggi gaudenti, crudeli in una loro aerea incoscienza, privi di o,gni velleità di cultura che non sia il diletto della poesia epigrammatica del buon abate Meli, arroganti d'un arbitrio divenuto diritto: un'umanità che non giunge al livello di coscienza, dove uomini come l'avvocato Di Blasi, con la sua passione egualitaria, il suo rigore razionalistico, le sue critiche alla società civile, sono figure incomprese e solitarie. E lo scrittore è lì pronto a raccogliere con ironica causerie la particolare dimensione d'un mondo, che sembra così placidamente posto fuori della storia, ma che nella storia fa sentire il suo peso: « A danno dei poveri preti, le 'caracciolate' poi venivano una appresso all'altra: il veto a riscuotere i fiori di stola nera, cioè l'obolo pei funerali, a far questua per messe e opere di carità, e questo e quello, non c'era giorno che non tirasse fuori una nuova angheria, che non cacciasse il suo volteriano naso nelle cose della religione ..... Si avvicinava la festa di S. Rosalia e il Caracciolo aveva , deciso di fare economia, rid-urre da cinq~e a tre i giorni di luminaria e di fuochi che la città tributava alla Santa~ Decisione così grave che nemmeno quei pochi, pochissimi no-bili in qualche modo devoti al viceré avevano il coraggio di giustificare ... - E sostiene i giansenisti! - tuonava il principe di Pietraperzia a coronale conclusione di una sua lunga invettiva. - I giansenisti, appunto, - confermò il principe. - Credo· che il duchino voglia sapere che siano i giansenisti - e intervenne il Di Blasi. - Beh i giansenisti sono quelli che impastano la faccenda della grazia a modo loro ... Inso·mma tutta u11'eresia. Ma voi - e si voltò inferocito al Di Blasi - che v'intrigate? Se il duchino vuo1 l sapere lo chieda al mio confesso 1 re ... che di dottrina ne ha da buttarne ai cani! - ». Il riso dello scrittore dapprima sommesso cresce di tono, ed è su questo filone che si conduce la straordinaria avventura del Velia che va intessento ed inventando la storia, fatto oggetto d'ossequio e cli riverente timore· dalla nobile società, che teme di veder inficiati i propri privilegi feudali da questa eccezionale cronaca. C'è tuttavia nella mistificazione del Vella una sorta di estrosa dignità nell'amoroso compiacimento che lo anima, mentre va creando un mondo fittizio e immaginario, impegnando studio e fantasia fino allo stremo: la storia, quella che barattano per vera, non lo soddisfa, per cui l'evasione, 114 Bibliotecaginobianco

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