Nicola Tranf aglia Fin qui nulla di grave. Ma ha sorpreso la Cassazione 11 fatto che « la Corte d'Appello,· senza neppure ·sottoporre a critica alcuna i due rapporti della Questura, ne ha ·pedissequamente accettato le indimostrate conclusioni, arrivando a giustificare il proprio convincimento relativo alla circostanza che il Pipitone avesse assunto il con1.ando della mafia del rione Acquasanta s·utl'unico fondamento di quello apodittico della questura (' seco1 ndo la polizia') ». Inoltre « i giudici di seconda ista11za - ha osservato il Supremo Collegio - hanno omesso persino di rilevare la stridente e non spiegata co,ntraddizione tra il rap,porto 20 agosto 1960 in cui si affermava, sempre ap·oditticamente, che il Pipitone era uno degli espo,nenti della mafia del rione Acquasanta, facente capo a Passarello Filippo, e quello dell'll marzo 1961 in cui si sosteneva, al contrario, che il Pipitone medesimo 1 apparteneva alla mafia avversa a quella del pregiudicato Passarello. Contraddizione questa che lascerebbe per lo meno dubitare che quella della Questura sia una mera ipotesi e per di più vaga e imprecisa ». La denuncia della Cassazione non avrebbe potuto essere più esplicita. E il monito più severo. Ma il ragionamento alla base della sentenza di Palermo è estremamente pericoloso, soprattutto per la delicatezza della materia, che riguarda le libertà fondamentali dell'individuo. L'art. 16 della Costituzione afferma che « ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza ». Per cli più nel 56 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità delle norme del testo unico di Pubblica Sicurezza disciplinatrici dell'ammonizione proprio per sottrarre l'applicazione di queste misure alle commissioni prefettizie ed affidarle alla magistratura. E il Parlamento, con la legge 27 dicembre 1956 n. 1423, ha completato l'opera dei giudici costituzionali. Sicché è ormai chiaro che « perché riescano applicabili le misure di prevenzione non basta il sospetto della pericolosità per la sicurezza pubblica o per la pubblica mo1 ralità, ma è necessaria la dimostrazione dell'appartenenza del diffidato ad alcune delle categorie previste nell'art. 1 della legge e del mancato cambiamento di condotta, malgrado la diffida». È alla luce della sentenza della Corte Costituzionale e del consenso che essa suscitò che tutta la vicenda acquista maggior risalto. Il monito della Cassazione ricorda - 4a scritto sul Foro Italiano il prof. Virgilio Andrioli - che « le leggi valgono non per quello che letteralmente statuiscono ma per lo spirito di coloro che sono chiamati ad applicarle». La Corte Costituzionale aveva abrogato il Testo Unico di PS ritenendo eh~ l'ordine giudiziariq offra al cittadino maggiore garanzia di un organo amministrativo. « Ma non direi - co1nmenta Andrioli - che risponda alle aspettative dei concittadini quel giudice penale che come la Corte d'Appello di Palermo, nel decreto provvidenzialmente cassato, si acquieta ai rapporti della Questura e ne recepisce supino le co,nclusioni nei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione. Affermerei, invece, che il 50 Bibliotecaginobianco
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