Nord e Sud - anno X - n. 38 - febbraio 1963

Giuseppe Sacco suntuosi che ogni realtà pretendono di far forzatamente rientrare, stirandola o comp·rimendola, nei propri rigidi schemi mentali; non ci troviamo di fronte a· dei ridicoli stoogies, ai prodotti più tipici cioè di una colonizzazione intellettuale; non ci troviamo insomma di fronte a quelli che pretendono di ricopiare su scala ridotta le istituzioni e la vita politica della potenza coloniale. La loro volontà di euro,peizzazione non significa servile imitazione del modello europeo, ma sintesi storica tra gli elementi portati dalla colonizzazione, tra le ricchezze che essa ha trasfuso nelle ·arcaiche società non-europee, e il patrimonio, particolare ed· insopprimibile dell'uomo nero, il carattere che gli consentirà di fornire un contributo dialettico al generale progresso. Resta poi 11aturalmente da stabilire - e tenteremo di farlo più avanti - in che cosa veramente di utile e di utilizzabile co11sista qt1esto così indeterminato patrimonio. Comunque la· preoccupazione di non copiare dall'Europa obb.edisce pure ad esigenze tattiche 11ei confronti di un'opinione pubblica estremamente suscettibile su questo punto, così co·me obbedisce alla esigenza di non cadere negli errori che potrebbero derivare da un atteggiamento affatto illuministico, come quello di che vorrebbe semplicemente innestare istituzioni europee sulle realtà del Terzo Mondo; · « Da qualche anno» - scrive a questo proposito Senghor - « pàrliamo molto di indipendenza. La vera indipendenza è quella dello spirito. Un popolo non è realmente indipendente se, dopo aver taggiunto l'indipendenza nominale, i suoi dirigenti importano, così come sono, delle istituzioni - politiche, economiche, sociali e culturali - che sono, altrove, i frutti naturali di una geografia, di una storia, di una razza. Non nego che ogni istituzione, ogni valore morale o tecnico sia frutto dell'uomo, e come tale abbia valore universale. Però si impone un processo di adattamento alle realtà dell'uo,mo•~ sempre tenendo presente più lo spirito che la forma ». E subito, dopo egli aggiunge: « ci impoveriremmo e molto probabilmente falliremmo nel tentativo di recuperare il nostro ritardo millenario se rifiutassimo il contributo dell'Europa sotto il pretesto della lotta anticolonialista » (Léopold Sedar Sengh·or, Nazione e via africana al socialismo, Cinque Lune, 1962). La rivoluzione dei paesi arretrati « non è la distruzio,ne delle .esperienze coloniali, ma l'utilizzazione e il nuovo fondamentale orientamento di queste esperienze, considerate come un istrumento strappato alla colonizzazione e suscettibile di una nuova utilizzazione » (Ahmed Ben Salah, in « Esprit », Giugno 1957). In sostanza, « no,n, si tratta di distruggere l'episodio coloniale, si tratta· di superarlo. L'indipendenza non è nel rifiuto, è nella scelta. Conserveremo quanto deve · 123 Bibliotecaginobianco ..

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