Nord e Sud - anno X - n. 38 - febbraio 1963

Antonio Palermo i peccatori da inferno, sembra continuamente dire o suggerire Viviani. E con questa ferma convinzione che è un giudizio, storico, ma anche una chiara prospettiva politica, egli riesce sempre a sostenere la narrazione su 11n piano autonomo. Anche quando le suggestioni di altre esperienze letterarie maggiormente pare che gli prendano la mano. Il suo prof. Donati, in una nott~ da tregenda, capiterà in un allucinante «albergo» popolare della suburra napoletana: al lettore non ignaro della ·Serao, di Mastriani, di Mezzanotte, di Lauria, del Fucini di Napoli ad occhio nudo potrà venire spontanea qualche suggestiva associazion~. Ma, a ben vedere, non sarà che una estrinseca analogia, soprattutto quando in Viviani si leggerà: « E in questo caso, non è meglio il carcere? Del resto, lo avete visto, lassù chi più chi meno, sono tutti ladri. E, a voler perquisire in o·gnuno di questi bassi, la stessa miseria, la stessa disperazione! 'Tutti a piede libero?' Alfredo trasalì. 'Peggio che se stessero in prigione', rispose il vecchio con un sorriso pieno d'amarezza. E aggiunse, con assoluta convinzione: ' Signò, qui ~e non viene il socialismo ... ' non poté terminare la frase .. 'Ho capito, questa è nottata! ' Alfredo gridò. 'Buonanotte! Statevi bene, ce ne andiamo'» (p. 203). . . È inventato il mondo di Viviani? Certo, come quello di ogni opera non gratuita, ma lo è con una aderenza alla realtà reale davvero sorprendente. Spesso soltanto una sillaba, un trasparentissimo anagramma, talvolta neppure quello, separa un suo perso,naggio da un cantante, da un impresario teatrale, da una soubrette che ancora oggi affro,ntano le platee di questo o di quell'avanspettacolo napoletano·. E poi bar, tipografie, strade, teatri, Ateneo, tutto pu11tuale: quasi una radiografia, do1 ve nulla, del bene e del male, è taciuto·. Oltre1nodo interessante, nelle ultime pagine, è la rappresentazio·ne di un certo 1}-10ndouniversitario napoletano, con i suoi fuori corso a vita, con i suoi politici che credevano di essere tanti Lenin, nelle turbolente giornate degli scioperi, ma dovevano fare i conti con chi « salito. cavalcioni sulle spalle di ·un collega massiccio, andava trionfalmente spernacchiando dappertutto, col ritmo ossessivo di un pupazzo meccanico» (p. 335). Tuttavia, questa costante verità, se salva sino alla fine Viviani dai pèricoli del napoletanismo, a mano a mano che giungiamo agli anni del dopog·uerra ai nostri anni, sembra accampare qualche diritto di troppo, a detrimento della ineliminabile (in ogni opera di poesia) mediazione lirica. E inoltre, il giudizio politico sulla recente storia di Napoli, e dell'Italia, obbedendo a una passionalità vistosamente scoperta, e quindi legata· effimeran1en te a episodi già scoloriti e lontani nel volgere di poche stagioni, contribuisce a generare l'impressione di una alquanto affrettata e acritica promozio·ne della realtà a storia. ANTONIO PALERMO 114 Bibliotecaginobianco •

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