Nord e Sud - anno X - n. 38 - febbraio 1963

Antonio Palermo momento appunto in cui la sua vicenda privata è più tipica - tuttavia è insieme assicurata la continuità della sua parte e quindi alla fine il conto torna e il romanzo corale regge e sta in piedi. Basterebb-e forse solo questo per giustificare la presenza del nuovo venuto Viviani in 11n settore nel quale ogni possibilità di zone vergini pareva da escludersi. Invece, ci si accorge ben presto che questo funzionale e moderno alveo narrativo è una struttura, un supporto non esterno, bensì nascente da un'autonoma e sincera capacità di giudizio e di adesione emotiva, che è la cifra piì1 personale del « nuovo venuto ». Non forse sul piano dello stile, egli vien dopo di tanti che lo hanno preceduto, giacché, pur raggiungendo sovente la felicità espressiva nella ridda di immagini che ispessiscono il suo discorso - « e intanto vere montagne di parole vengono scaricate, come brecciame da un carretto» (p. 19) -, pur ispirandosi, sulla scorta della narrativa napoletana dell' '800 al dovizioso patrimonio idiotistico della sua città - « dell'esistenza ne ha fatto tacchi e chio-di » (p. 115) - talvolta egli ha delle cadute di tono, per una certa qual ansia di non aver detto tutto, di non essere stato sufficientemente esplicito; ed allora danneggia con una aggiunta, spesso « facile», la icasticità espressiva che pur era stata conseguita. Viviani viene dopo, invece, per la sua sicurezza di giudizio, per la attuata liaison fra pubblico e privato, che non è estrinseco collegamento ma sintonica realtà. Egli non presenta personaggi emblematici, cui ci sia uno sfondo storico, bensì con lo stesso sguardo, si diceva, cqglie l'oggettivo e il soggettivo, che accadono « insieme », perché è giusto che sia così, come solo può dirlo chi la realtà la giudica, oltre che sentirla e viverla. In tal modo egli ha costruito una narrazione in cui buona parte della recente storia di Napoli (quella che conta), e spesso dell'Italia, è presente; i casi degli uomini e delle donne, della vita, hanno un senso solo in quanto echi delle grandi vicende: un amore, una sciagura, una gioia, tutto quello che punteggia e costituisce l'esistenza, non sono che l'edizione domestica, quotidiana, del processo Cuocolo o della Marcia su Roma o della venuta degli americani. Regna quindi nella Danza sul vuoto una fiducia assoluta nella ragione, nella Storia; il caso è solo ciò che non si è capaci di intendere, co·sì come lo è l'a~torica condizione umana. Capita a Viviani di dire, a un certo punto: « sarebbe stata una notte memorabile, fuori del tempo: vero assurdo napoletano» (p. 133): potrebbe essere l'epigrafe del suo libro. Egli ha voluto spiegarlo questo assurdo, costringendolo nel tempo, nel mondo in c11i accade sempre qualcosa. Ma la molla che mette in moto, che storicizza i suoi personaggi, si capisce, sono, per lo più, le ragioni del cuore. Deve andare un amico in galera percl1é uno spietato organizzatore di spettacoli teatrali entri in quel mondo: « Mai, prima di quel momento, aveva pensato che Napoli fosse Italia e che in Italia comandassero i fascisti» {p. 133). E questo amico è una delle più belle figure del romanzo, Don Guglielmo, 11n pastoraro socia- . lista, che aveva da sempre saputo da quale parte stava la verità e p.er il quale, tuttavia, la fine del fascismo significa soltanto il trasferimento dal 112 Bibliotecaginobianco

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