Note della Redazione Dire ciò significa, a parere dell'U11ità ( cfr. la nota di Mario Spinella del 20 novembre scorso), farsi velare gli occhi dalla nostra riverenza e dal nostro affetto per la memoria del Croce e fare, inoltre, della retorica. Ora, della rzostra riverenza e del nostro affetto per quella me1noria nulla abbia1no da ritrattare o da limitare; 1na, lasciando da canto la retorica, tirata in ballo dallo Spinella con un artificio alquarLto retorico, non possiamo esi111erci dall'obbligo di fare osservare all'Unità e .al suo redattore che, - definendo, come abbiamo fatto nel nostro editoriale di settembre, « .ancora vegeto e robusto» l'albero rappresentato dall'« enorme patri111onio di idee, di tecniche e di giudizi lasciato da Croce », - 1'zon intendevamo affatto di in1postare e concludere « descrizioni di un,a situazione culturale ». E tanto è vero che, nello stesso editoriale,· auspicavan10 una più esauriente e approfondita discussione di tutto il corpt1s di dottrine e giudizi crociani, lan1en,tando precisamente che solo qualche ran10 finora ne fosse stato intaccato con ragione: « perché - scrivemmo - sappiamo che la f econ,dità di un insegna111ento e di una tradizione di cultura emerge appurito dal continuo reinserimento di essi nella discussione; e perché sappianio che Croce 110n offrì mai i risultati dei suoi studi co,ne apodittiche verità di un qitalsiasi dio (la rivelazione, la storia ...), ma sempre e soltanto co1ne stritniento di lavoro per coloro che port.ano 11elle cose della cilltt,tra urz in1pegno 110n s1nentito e scevro di ogni no11 limpido interesse ». · Se, tuttavia, si fosse trattato di fare soltanto questa precisazione, anche utile com'è perché sia evitata ogni deformazione, più o meno volontaria, del nostro pensiero, non avre1n1no preso in considerazione la nota dello Spinella. Senonché, lo Spinella ripete nella sua nota il trito luogo comune sulla cultura crociana, non solo « ritardatrice », nia anche tale da « lasciare perplessi e preoccupati », per quanto riguarda « la vera 11atura dell"' antifascis1no" ero- . ciano, sui suoi limiti e sitoi suoi fini reali »; e rin1anda all'·ultimo libro del ' Garin, oltre che ai be11noti giudizi di Gra1nsci, per convalida delle sue asserzioni. Ora, per qua11to riguarda i giudizi di Granisci, 110n solo su Croce, ma su tutta la storia ·dell'Italia post-risorgiraentale, la confutazione non sarebbe 11-eppure_più necessaria. Croce stesso, l"habod, Maturi, Valeri, Ronzeo hanno chiaramente individttato i11 quei giudizi il frutto non di un,a 1neditazione di carattere storico e critico, 1na di una indebita trasposizione di esigenze della lotta politica sul piano storico e culturale; e più recente111ente s'è letto perfino sugli « A1inali » dell'Istituto Feltrinelli che non tutto nei giudizi di Gra1nsci è da prendere per oro colato. Più cornplesso è il discorso da fare a proposito di Garin e del suo libro. L'antifascisrno di Garin maturò veraniente; se non post rem, certo alla vigilia della fin.e ultima del fascisn10. Nel 1944, nella Firenze occupata dai nazisti e dai fascisti repubblicani, il Garin partecipava ad iniziative culturali che avevano « il crisma di Giovanni Gentile e dell'Accademia d'Italia». (cfr. C. FRANCOVICH, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze, 1961, pp. 123-124) insieme a Guido Manacorda, Orazio Pedrazzi, Luigi Maria Personé ed altri. È opportuno anche ricordare che in un ciclo di conferenze voluto dal Gentile e dedicate ai « Santi Italiani », il Garin parlò 41 Bibliotecaginobi·anco
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