Cronaca Libraria nata. Ha seri tto Roberto Battaglia, in Trent'anni di storia italiana, a proposito della seconda guerra mondiale: <~ La guerra 1940-43 non è stata soltanto la guerra del regime, ma la tragica esperienza nel corso della quale esercito e popolo hanno maturato la loro opposizione al fascismo, venuti meno gli inganni e la demagogia corruttrice. Si parte in tale senso dalla constatazione della condotta criminosa della guerra, degli inutili massacri in cui vengono gettati i nostri soldati, per arrivare alla scoperta, tanto più bruciante e decisiva, quanto più si viene a contatto con i popoli oppressi, che la verità e la ragione stanno dall'altra parte. Ciò che ne scaturisce non è una passiva rassegnazione agli eventi, è qualcosa di ben diverso anche dal disfattismo della prima guerra mondiale. Mentre l'antifascismo tradizionale trovava o ritrovava faticosamente nel corso del grande conflitto le vie de Il'unità, nascevano nella massa dei combattenti sui monti dei Balcani, nelle sabbie del deserto o nelle pianure nevose della Russia, un nuovo sentimento e una nuova coscienza, ciò che noi potremo definire l'antifasci- ' smo di guerra ». E « l'ora della verità » , per Nuto Revelli coincise con la sua partecipazione alla campagna di Russia, in qualità di ufficiale degli alpini. Ma non è da credere che La guerra dei poveri sia un libro che indugi a descriverci la crisi spiri tua le del suo autore, che si soffermi a prospettarci la radiografia dei suoi drammatici e contrastanti stati d'animo, un libro cioè che ci faccia assistere ai ragionati motivi, alle varie tappe che lo hanno portato da una posizione di entusiastica fiducia nei riguardi del regime alla sua graduale e definitiva rivolta - motivi che peraltro, come scrive Garosci nell'introduzione, risul- · tano ben evidenti « nello iato che separa propaganda da realtà, e particolarmente la propaganda di un così immenso vuoto morale da una realtà Bibliotecaginobianco così atrocemente disperata» - perché Revelli è in te ressa to soprattutto a descriverci la interminabile, tragica ritirata del suo reparto. E nella rappresentazione di questa agghiacciante esperienza raggiunge una tensione che mozza il respiro, un tono da tragedia antica. Così assistiamo muti e sgomenti ad allucinanti sequenze di uomini che sembrano fantasmi e che solo una incrollabile speranza di salvezza tiene in piedi ( « anche i più disperati sperano: con i piedi in cancrena, con gli occhi chiusi dal congelamento, con pallottole e schegge nelle gambe e nei fianchi, vanno avanti piegati in due, le braccia penzoloni, trascinandosi sulla neve, cadendo e rialzandosi, ma vanno avanti, vanno avan ti, perché sperano nella linea tedesca. Qui dove tutto è morte, dove basta un niente, una distorsione ad un piede, una diarrea, e ci si ferma per sempre, il desiderio di vivere è in1menso. Camminare vuol dire essere ancora vivi, fermarsi vuol dire morire »); a sequenze di villaggi in fiamme, i cui bagliori nella notte rendono più sinistra l'atmosfera di disperazione e di incubo che grava su tutta la vicenda; a scene di una marea di sbandati che si aggirano come spettri nella neve e che aspettano che sia aperto un varco nell'accerchiamento russo per poter proseguire nella fuga; a scene infine di una fitta moltitudine di morti e di feriti che, stremati e sfiniti, sono abbandonati nella neve a morire lentamente d'assideramento. E nel narrare questa vicenda, Revelli non si è lasciato prendere la mano dalla reto• rica, non ha cercato di mitizzare gli avvenimenti, ma si è attenuto esclusivamente alle cose, alle terribili cose che accadevano sotto i suoi occhi. E solo mediante la descrizione esatta e scrupolosa dei fatti è riuscito a montare un documentario sulla ritirata che non solo avvince e sgomenta il lettore per la forza drammatica che da esso si sprigiona, ma che possiede 123
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