Nord e Sud - anno IX - n. 36 - dicembre 1962

Giornale a più voci che esso venga esteso a tutti gli altri tipi di « inferiorità» fisica e psichica? E chi impedirà che si allarghi il concetto di inferiorità, assumendone come criterio l'origine razziale, il colore della pelle, il credo religioso? Sono considerazio·ni che non possono lasciare indifferente nessuna coscienza, e che non possono non far leggere con inquietudine le dichiarazioni di uno scienziato di cui ci sfugge ora il nome ad un noto rotocalco italiano: « Gli ospizi - diceva costui - sono pieni di idioti irrecuperabili, di creature che sono inutili a sé e agli altri». Ecco un primo esempio di ciò che paventiamo: « l'utilità per sé e per gli altri» assunta a criterio per distinguere chi meriti o meno di sopravvivere. È esattamente il concetto in base al quale venne, nella Germania nazista, sterminato qualche centinaio di migliaia di sto1 rpi e mentecatti. C'è da notare tuttavia come il caso Vandeput non contenga che in em brione la logica degli orrori nazisti e la concezione primitiva della famiglia che ripugnano alla coscienza moderna. E c'è un altro tipo di considerazioni da fare, considerazioni che posso110 in definitiva condurre a rimettere in · discussione lo stesso concetto di perso,na umana. Ci si può cioè domandare se sia opportuno, in questo caso, parlare di violazione del principio cristiano, e liberale, del rispetto della vita umana. Nella piccola Co,rinne, ripetiamo, si è uccisa solo una già disperata « spes hominis », si è interrotta una vita che non sarebbe mai stata umana, corne nell'eliminazione pietosa di un malato inguaribile e so.fferente si spezza una vita che non è più umana, una volta impedita ogni attività presente e ogni speranza futura. Ma quali sono i ·limiti precisi al di quà dei quali l'uon10 è un fatto biologico, tale cioè da poter essere considerato dalla ragio11e scier1tifica, e da essa inquadrato nelle proprie categorie logicl1e, e al di là dei quali l'uomo è quella realtà spirituale che la coscienza liberale impone soltanto di proteggere e difendere, senza poterla definire? Non abbiamo risposta, e il nostro stesso silenzio ci inquieta. Ricondotta così alle dimensioni ed al livello delle numerose sentenze in materia di eutanasia, in cui il movente pietoso venne riconosciuto come attenuante, la popolare sentenza di Liegi ha perfino un aspetto che la fa accogliere con soddisfazione, in quanto indica come sia ormai universalmente accettata una concezione della vita come realtà in cui ogni uomo abbia diritto al massimo possibile di salute e felicità, e non più come valle di lagrime da attraversare fatalisticamente subendo. Ma no•n si può non rimanere pensosi di fronte alla preoccupazione che si è indicata, la preoccupazione del ritorno· di una morale famigliare che violi la concezione moderna dello Stato e della civile convivenza e, in pari tempo, l'avvento di una morale sociale che autorizzi implicitamente lo Stato a farsi giudice della « utilità » di questa o quella vita umana, con tutte le inquietanti implicazio·ni per il futuro che questo può riappresentare. GIUSEPPE SACCO 67 Bibliotecaginobianco

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