Nord e Sud - anno IX - n. 36 - dicembre 1962

• Sergio Bertelli Anziché accusare gli uomini accecati dal nazionalismo - come ha fatto il Leflon - v'era piuttosto da esaminare concretamente quali ostacoli si frappo,nevano al tentativo mediatore del pontefice e del suo Segretarj.o di Stato. È certo che, agli inizi del conflitto, nessuno si augurava la disfatta dell'Austria-Ungheria, e si potrebbe stendere un elenco lunghissimo di personalità politiche di primo piano convinte che la monarchia absburgica dovesse restare sul trono. In Italia, ad esempio, non se lo auguravano, tra gli altri, né il Salvemini né il Bissolati 8 , né lo stesso Sonnino, convinto cl1e interesse dell'Italia fosse « che non si stravinca da nessuna parte » 9 • L'idea, condivisa dal nostro ministro degli esteri Di San Giuliano, si basava probabilmente sull'illusione - ben ricl1iamata dall'interve11to del Pieri - che la guerra testé iniziativa non fosse che una guerra d'equilibrio ancienne manière, e non già una guerra « mondiale ». Senonché il punto non è questo. Si tratta piuttosto di sapere se potevasi ancora nutrire tale convinzione all'aprirsi del quarto anno di guerra. Certo lo stesso Salvemini, che abbiamo or ora ricordato tra quanti attribuivano all'impero austro-ungarico un'utile funzione equilibratrice al centro dell'Europa, contenendo le mire tedesche e russe sull'Adriatico e sui Balcani, lo stesso Salvemini già sull'Unità del 12 marzo 1915 aveva riveduto completamente il giudizio precedente, riconoscendo che « la demolizione dell'Austria è la sola garenzia che la Triplice Intesa, in caso di vittoria, possa assurnere contro una ripresa offensiva della Germania » 10 • Parpace dovrà regolare le divergenze economiche fra le nazioni; 6) la conferenza della pace dovrà pure regolare la questione di frontiera fra l'Italia e l'Austria, e fra la Germania e la Francia, in Alsazia e Lorena; 7) egualmente la Conferenza della pace dovrebbe decidere: a) dell'assetto della Polonia, b) della sorte della Serbia, della Romania e del Montenegro. L'Engel-Janosi, nella sua relazione al convegno, pure giunge a conclusioni simili: « Malgrado tutte le divergenze ed i contrasti, Benedetto XV, e con lui circoli influenti del Vaticano nonché il Nunzio a Monaco, monsignor Pacelli, erano seriamente interessati al mantenimento della monarchia absburgica, considerata allora quale ultima potenza cattolica, nella sua ' integrità politica' ». Ma si v. anche il dispaccio dell'ambasciatore autriaco presso il Vaticano, conte Pallfy, in data 29 luglio 1914, riportato in L. ALBERTINI, Venti anni di vita politica, III, Bo, logna 1951, p. 257: « ••.-Papa e Curia vedono nella Serbia la malattia corrosiva che col tempo giungerà fino al nervo vitale della Monarchia e la distruggerà. L'Austria-Ungheria ... rimane uno Stato cattolico esemplare, la più salda fortezza della fede che sia rimasta alla Chiesa cristiana nell'era nostra. Distruggere questa fortezza vuol dire per la Chiesa perdere il suo più potente appoggio e veder cadere il più forte lottatore nella campagna contro l'ortodossia». s Cfr. in VALIANI, op. cit., II, in « Rivista Storica Italiana», LXXIV, 1962, pp. 7980 e 81. · 9 La dichiarazione è fatta in una conversazione col Malagodi, il 12 dicembre 1914. Cfr. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., I, p. 31. 1° Cit. in VALIANI, op. cit., II, p. 85. In una sua interessante comunicazione al convegno, « Benedetto XV e i problemi nazionali e religiosi dell'Europa orientale», 120 \ I I Bibliotecaginobianco . 1

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