• Vittorio de Caprariis dell'abolizionismo. In questo giro d'anni uno dei rappresentanti whig al congresso federale si chiamava Abramo Lincoln! Mi sembra, insomma, che, quando si esaminano le cose deponendo d~l tutto lo spirito della crociata storiografica revisionistica, quelle distinzioni · politiche, che Benson credeva di avere esorcizzate una· volta per tutte, si ripropongano come le sole capaci di fornirci una spiegazione plausibile. E, del resto, basta esaminare quella che si potrebbe chiamare la parte costruttiva del libro di Benson, la sua soluzione del problema di una nuova « concezione» dell'età di Jackson, per rendersene conto. Dopo uno studio approfondito del comportamento_ elettorale dello stato di New York tra il 1820 ed il 1844, che dimostra l'ingegnosità dell'autore, Benson conclude che almeno dal 1820 in poi non sono già le distinzioni economico-sociali o i contrasti di convinzioni e di ideali politici che segnano le linee di divisione tra i partiti, ma le differenze etniche e religiose. Benson crede di aver dimostrato che gli indigeni si dividevano abbastanza equamente tra i due partiti, gli immigrati e soprattutto gli irlandesi cattolici e i tedeschi votavano per i jacksoniani; e che mentre i puritani votavano pei whigs, i non-puritani votavano per i democratici. Am1nettiamo che ciò sia perfettamente esatto, ancora più esatto di quanto l'autore stesso non creda. Noi restiamo, però in creditodi una risposta ad una domanda assai semplice: perché? Percl;lé gli immigrati votavano in massa pei jacksoniani? Affermare cl1e le differenze etniche e religiose diventano dal 1820 in poi la fonte più rilevante delle differenze politiche non significa affatto spiegare un processo storico, ma enunciare un dato cl1e ha, a sua volta, bisogno di una spiegazione. Benson ricorda opportunamente che nella risoluzione approvata dalla convenzione whig per le elezioni presidenziali del 1844 non si faceva parola alcuna degli immigrati, mentre nella risoluzione approvata dalla convenzione democratica si faceva esplicito riferimento ad essi, si riproneva il motivo della terra americana come il paese che doveva ospitare una famiglia composta dell'umanità intera e quindi si promettevano ogni sorta di agevolazioni alla naturalizzazione degli immigrati (cinquant'anni dopo la situazione sarà puntualmente rovesciata). Ora, questa differenza può servire a spiegare perché gli immigrati votassero in blocco per i jacksoniani; ma a sua volta abbisogna di una spiegazione. Perché i due partiti avevano una concezione così diversa del problema degli immigrati? Ed ecco che quando si tratta di rispondere a tale domanda ridiventano attt1ali quelle differenziazioni ideologiche e politiche che erano state messe da parte come strumenti inservibili, se non addirittura come trappole per gli storici troppo creduli. Da ultimo, mi sembra opportuno osservare che Benson commette lo stesso errore che attribuisce ai sostenitori dell'interpretazione tradizionale dell'età di Jackson: egli, cioè, immagina che il jacksonismo sia stato un fenomeno omogeneo e compatto ed uguale a se stesso dal principio alla fine. Laddove bisogna distinguere tra il movimento jacksoniano degli anni tra il 1824 ed il 1829-30 e quello degli anni immediatamente successivi; e bisogna distinguere tra il jacksonismo di Jackson stesso e quello di van 108 Bibliotecaginobianco
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