Recensioni soddisfacente storicamente. Ma in ogni reazione v'è sempre il pericolo di andare oltre il segno: e questo n1i sembra il caso del recente libro di Lee Beson, The Concept of Jacksonian Democracy: New York as A Case Study (Princeton, t.J. J., 1961), il quale, muovendo, come il titolo stesso del suo libro rivela, dallo studio dello stato di New York tra il 1820 ed il 1845, vuoìe non solo dimostrare ancora una volta su quali fragilissime basi poggiava l'interpretazione tradizionale, ma anche avanzare una sua propria teoria delle divisioni dell'opinione pubblica e dei partiti politici americani di quell'epoca e, attraverso questa, suggerire una nuova « concezione» dell'età di Jackson. Dirò subito che nel libro di Benso11 vi sono molte cose giuste ed anche molte osservazioni nuove, che sono pienamente convincenti. La caratterizzazione che egli dà, ad esempio, del ceto dirigente e dell'ossatura di quello che sarà poi il partito jacksoniano nello stato di New York, della Tammany Hall di Martin van Buren, è veramente impeccabile. Van Buren, che fu governatore di New York e segretario di stato con Jackson e che succedette poi allo stesso Jackson come presidente nel 1836, van Buren, che fu certamente uno degli uomini politici più eminenti del periodo, non era affatto l'eroe populista che molti studiosi hanno creduto. Alla convenzione costituzionale del 1821 egli guidò l'opposizione al suffragio universale e solo nel 1826 parve convertirsi alle idee a cui avrebbe tenuto fede tutta la vita; e il suo controllo della politica del suo stato era così stretta e oppressiva ed a tal punto legata a ciò che di solito si chiamano gli « interessi costituiti», che c·ontro di lui si poté costituire quasi un blocco di tutti i movimenti che lo combattevano, e che formò, in certo modo, l'ossatura del partito Whig. Ed infine il famoso Safety Fund che van Buren ed i suoi seguaci avevano creato a New York come una sorta di garanzia pubblica dai fallimenti delle banche, era, nella giustificazione dottrinaria e nella realizzazione pratica, assai più vicino alle idee ed alla politica di Hamilton che a quelle di Jefferson, che pure era la bandiera dei jacksoniani. Benson ha perfettamente ragione quando sottolinea tutto ciò e quando sottolinea che, almeno fino al 1832, gli avversari di van Buren erano assai più vicini agli ideali democratici ed ugualitari, assai più corrivi a condurre la lotta contro i monopoli e contro le « puissances d'argent » ed a denunciare le aristocrazie al potere, di quanto non lo fossero i seguaci di J ackson. Ed ha ancora ragione quando osserva che il nocciolo della dottrina dei « burenites » era il principio della sovranità dei singoli stati della federazione nord-americana: sarà questo, in effetti, il cordone ombelicale che unirà saldamente i repubblicani di New York a J ackson, poiché il cuore dell'ideologia j acksoniana era proprio la dottrina dei diritti degli stati. Già Tocqueville, centotrenta anni or sono, aveva acutamente notato ciò ed aveva chiarito l'apparente contraddizione tra il senso elevatissimo che Jackson ebbe dei poteri ·del presidente degli Stati Uniti e la sua concezione del vero rapporto tra il potere federale e gli stati, la sua concezione della interpretazione « rigida » della Costituzione: 105 Bibliotecaginobianco
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