Nord e Sud - anno IX - n. 35 - novembre 1962

• U1nberto Cassinis alle dipendenze di altrui deve iscriversi alle liste di collocamento presso gli uffici di cui al Capo II del presente titolo, della circoscrizione nella quale ha la propria reside11za ». La sottolineatura è nostra: la nuova disciplina sanciva pertanto e ribadiva il dettato della legge fascista, contraria all'urbanesimo, in forza del quale il disoccupato poteva iscriversi ed essere avviato al lavoro solo se residente nel comune. Dal 1949 al 1961 lunga fu la strada per spezzare questo circolo vizioso: oltre un milione di italiani emigrò dal Sud al Centro-Nord, in dispregio della norma fascista che ancora viveva (e che è stata abrogata, e parzialmente, solo il 10 febbraio del 1961!). E questo perché la disciplina territoriale della domanda e della offerta di lavoro, ribadita nella legge del 1949, trovava sistemazione in due leggi precedenti del passato regime politico, quella del 9 aprile 1931, n. 358, relativa alla disciplina e allo sviluppo delle migrazioni interne, e quella del 6 luglio 1939, N. 1092, contenente provvedimenti contro l'urbanesimo, che hanno fatto versare fiumi di indignato inchiostro. È ben vero che il Ministero del Lavoro si era orientato nel senso di temperare e di adattare la rigidità, la illogicità e la incostituzionalità di dette norme alla mutata situazione economica e sociale; e che aveva perciò impartito opportune istruzioni agli uffici dipendenti perché adottassero un atteggiamento ispirato a motivi di elasticità e di prudente · apprezzamento delle molteplici situazioni di fatto, di te1npo e di luogo. Ma è altrettanto vero che la legge del 1949 nacque in un mercato del lavoro e in una situazione economica e sociale che ancora risentivano della guerra e che allora non si poteva prevedere che l'economia italiana da prevalentemente agricola si andasse trasformando in prevalentemente industriale, che la disoccupazione quasi si dimezzasse (quando per anni era sempre oscillata intorno ai 2 milioni di senza lavoro), cl1e la mobilità professionale e geografica dei lavoratori raggiungesse il ritmo e la velocità che ha raggiunto. A tutto c'è un limite, tuttavia: si poteva considerare solo il presente e non certo antivedere il futuro, è vero; si poteva, però, ancl1e non esser troppo influenzati dal passato, non ricalcare norme e istituti che risentivano troppo della immobilità feudale che il fascismo desiderava per la realtà sociale italiana. In nome della « continuità dello Stato », nel timore di novità, a11cora u11a volta si confusero il disordine e il timore del disordine con i fermenti di libertà e di movimento cl1e bollivano sotto la crosta delle vecchie norme; e si dimenticarono con disinvoltura la Resistenza, la tavola dei nuovi valori, l'importanza e la forza dei nuovi sindacati, le lotte contadine, i conflitti di lavoro, il 92 Bibliotecaginobianco

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