Nord e Sud - anno IX - n. 35 - novembre 1962

.. ,. 1\11 ichele N ovielli o nuovi strumenti di lavoro acquistati, risultati impo.rtanti e che potranno colpire in maniera esclusiva gli osservatori e gli ottimisti di maniera, ma nessuno di essi potrà essere uguale, più determinante di questo·: l'inserimento del contadino nel processo di vendita del prodotto·. Nella cooperativa il piccolo proprietario conoscerà la forza dell'organizzaziqne, il miracolo 1 della semplice operazione aritmetica e so,prattutto la coscienza di ciò che produce con fatica, con ansia, lottando contro la natura e contro gli altri che lo circondano. « Il mio compito - ci dice il giovane De Pinto (sono ospite nella sua casa arredata con un gusto semplice e moderno) - era estremamente difficile. Alle difficoltà strutturali della diffidenza si alleavano• alcune particolari situazioni locali. La cooperativa doveva sorgere e svilupparsi sulle basi di un accordo stabilitosi tra proprietari di frantoi e coltivatori diretti: ora, tra gli uni e gli altri non sono mai corsi rapporti di fiducia, tantomeno di collaborazione. La n1aggioranza dei frantoiani sono anche piccoli coltivatori diretti (nella nostra cooperativa, composta di sette frantoiani e di quindici coltivatori diretti, appena uno, era solo proprietario di frantoio, gli aliri sei possedevano terreni). La ragione di questo mancato rapporto è presto formulata: per il contadino il frantoiano è soprattutto colui che partecipa al processo di trasformazione, di commercializzazione del prodotto: un processo che il contadino vuole ignorare, che avviene troppo spesso a pochi passi da lui, nella stessa strada do,ve abita o nella piazza centrale. Ogni socio della cooperativa possiede una proprietà che va dai cinque ai dieci ettari». « Mio padre è il preside dell'istituto di avviamento professionale - continua il giovane - insegna da circa quarant'anni, è il proprietario terriero che affida all'uomo di fiducia, al rr1assaro, la conduzione della terra, il controllo sugli operai, dall'aratore, allo zappatore e al potatore. Io invece sono un piccolo coltivatore diretto: uno che, come gli altri piccoli coltivatori, si alza presto la mattina per recarsi in campagna e che rientra la sera tardi al paese, che non disdegna di maneggiare la zappa, l'aratro e l'accetta, che conosce i misteri, i segreti, la vita di un albero, di una vite, che in piazza o in casa discute con gli altri piccoli proprietari della semina, del raccolto, della grandine che ha colpito il vigneto, del prezzo della mano·dopera e dell'ulivo. Sono uno di loro, e quando parlavo mi capivano o mi prestavano attenzione. C'era, nel mio caso, una difficoltà, la mia giovane età, ma in compenso avevo una laurea: più che verso di me, verso di questa c'era l'antico rispetto che il· contadino porta istintivamente per chi è « istruito », « studioso», « don». 'Yvorrei a questo punto dare un consiglio ai tecnici, così senza alcun'ombra di superbia, ma spinto da ciò che mi suggerisce l'esperienza personale: quando essi si avvicinano ai contadini, sarebbe meglio che per prima cosa imparassero il dialetto dei contadini per esprimersi, per spiegarsi ». E sorride per il paradosso che ha pronunciato. Come e quando nacque la cooperativa? È quasi impossibile stabilire il giorno, assegnare una data e descrivere i modi con cui questa idea nacque e si sviluppò. Il giovane scuote la testa: « ecco - ci dice - un esempio, il 56 Bibliotecaginobianco

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