Nord e Sud - anno IX - n. 35 - novembre 1962

Rif ornta delle is tititzioni e repubblica presidenziale costituzionale, due per ogni stato, indipendentemente dal numero degli abitanti di ciascun stato, ed erano eletti non già direttamente dal popolo, ma dalle legislature dei singoìi stati. Fu il partito federalista, che continua a passare nella de1nonologia progressista americana per. un_ partito conservatore, furono gli hamiltoniani, che vollero il presidente eletto da tutto il paese per rafforzare il potere federale contro un Senato potentissimo, e che si prevedeva sarebbe stato dominato dagli interessi dei singoli stati; ed è appena necessario aggiungere che i senatori federali (fatte poche eccezioni) l1anno continuato ad essere eletti i11direttamente, ossia dalle legislature degli stati, fino al 1913, quando un emendamento costituzionale statuì che dovessero essere eletti a suffragio universale. I dottrinari della democrazia numerica dovrebbero, dunque, ricordare che il prestigio e la forza al capo dell'esecutivo degli Stati Uniti non sono derivati, per un secolo almeno, dal semplice fatto che egli era eletto direttamente dal popolo, ma· dalla contrapposizione che si era venuta a stabilire tra la sua elezione diretta e quella indiretta del Senato. È ben vero che oggi la situazione è assai diversa: ma in ?Il secolo si è creata una tradizione politica per la quale il presidente ha più prestigio deg]i eletti del congresso, e si è creata anche una tradizione di contatto diretto tra il popolo ed il suo leader, in .forza della quale qt1esti, t1na volta eletto, diventa quasi un capo carismatico. Nessuna tradizione del genere esiste in Europa: e oggi il prestigio di un capo dell'esecutivo eletto a suffragio universale si scontrerebbe, in Francia, non già contro un parlamento eletto indirettamente o a suffragio ristretto, ma contro deputati eletti anch'essi a suffragio universale. Da dove gli deriverebbe, dunque, il privilegio morale di essere l'eletto della nazione a miglior diritto di altri? E non suppone, forse, la moderna teoria della rappresentanza politica che il deputato, una volta eletto, è il rappresentante non già dei suoi elettori, ma della nazione tutta? Certo, resta il fatto che un capo dell'esecutivo eletto a suffragio universale avrebbe dietro di sé la maggioranza dei voti espressi nell'intero paese, ossia una votazione imponente; ma anche le camere avrebbero dietro di loro votazioni altrettanto imponenti; e quindi il vantaggio che si spera di poter cavare dalla nuova pratica sarebbe assai minore del previsto. Insomma, mi sembra che gli estensori del progetto del « Club Jean Moulin » su questo pu11to esagerino il valore delle votazioni plebiscitarie o siano preoccupati soprattutto di scegliere bene il terre~o della battaglia contro il gollismo. E se quest'ultimo motivo è quello vero, è evidente che ciò che contava ai loro occhi era il giudizio politico e non la spassionata analisi dei meccanismi istituzionali. Pure, devo aggiungere che non mi pare molto saggia 25 Bibliotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==