• Francesco Compagna Italia è oggi più sentita l'esigenza da me fatta presente - che i geografi si preoccupino di recare un loro contributo alla impostazione e soluzione di determinati problemi della pianificazione territoriale (un contribuJo di cui gli « altri » hanno pure il torto di 110n avvertire la mancanza) - che non l'altra esigenza, di scrivere libri di tipo, per così dire, tradizionale. Di questi ultimi se ne scrivono, di buoni e di cattivi, che pure risultano a volte dominati qua e là da preoccupazioni metodologiche che non tengono conto, come dovrebbero, di altre, più complesse esperienze metodologiche della cultura moderna che a talune discipline hanno fatto compiere, proprio in Italia, significativi passi avanti. Ma questo è un altro discorso: qui mi premeva soltanto di « aggiustare il tiro » dopo la giusta segnalazione di Toscl1i circa il « colpo fuori bersaglio ». A questo punto, però, chiamato in causa dall'autorità di Toschi, è sceso in campo Colamonico in persona, con un articolo significativamente intitolato: Sili limiti della ricerca geografica ( « Bollettino della Società Geografica Italia», 1961, n. 11-12). E Colamonico afferma preventivamente che il mio rilievo 11ei confronti di certe sue considerazioni che si leggono nella citata prefazione al volume di Barbieri gli era sembrato « evidentemente fuori posto, e perciò non appropriato e alquanto confusionario », onde non aveva ritenuto necessario confutarlo. Ma poi che quel rilievo ha incontrato l'assenso, sia pure parziale, di uno studioso autorevole di geografia, il Toschi, « una parola di chiarimento » da parte sua, di Colamonico, è diventata « indiscutibilmente • necessaria ». Senonché la parola che avrebbe voluto essere di « cl1iarimento » da parte di Colamonico induce ora me ad approfondire meglio certi aspetti dei problemi che formano la materia del contendere e anche a contrapporre alcuni buoni argomenti alla lezione - o tirata d'orecchi - che l'amico Colamonico mi impartisce, condita di elogi - dei quali gli sono grato - per le qualità di animoso pubblicista che egli mi riconosce (ed essere un bravo giornalista è cosa alla quale tengo molto, come ci tenevano, si licet ..., Einaudi e Salvemini); e condita pure di ammonimenti a non sentenziare nei campi dove cultori della pura scienza si accompagnano solo fra loro, e sentenziano solo fra loro, ammettendo a frequentarli, dopo lungo e duro tirocinio, soltanto chi ha dimostrato di poter essere iniziato a pratiche ben più alte e serie di quelle, sempre un po' impertinenti, del giornalismo e di quelle, sempre un po' indefinite, di alcune sottoscienze, come potrebbe essere per alcuni in Italia la sociologia, della quale pure Colamonico mi vuole considerare un esperto (ma non lo sono, avendo praticato la sociologia solo occasionalmente, anche se, oso ritenere, non indegnamente, e proprio per 1.18 Bibliotecaginobianco
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