Nord e Sud - anno IX - n. 35 - novembre 1962

Recensioni disoccupazione di massa che non su quelli del reddito e dello sviluppo. Su un terreno più strettamente tecnico, sarà bene avvertire come alcuni elementi del « modello» tracciato dalla Robinson appaiano al lettore d'oggi come eccessivamente semplicistici, per no·n dire errati. Citiamo due esempi, fra i più cospicui. Nel delineare la teoria del tasso d'interesse, la Robinson (sempre nel rispetto del verbo keynesiano) dichiara senz'altro che l'interesse si determina esclusivamente sul mercato della moneta; soluzione di equilibrio parziale, questa, che poteva essere accettabile ad un economista cantabrigense del 1930, nutrito di succhi marshalliani e poco familiarizzato con la tradizione di pensiero continentale; ma che riesce piuttosto insipida al palato dell'economista conte1nporaneo, imbevuto di linfa walrasiana e avvezzo a considerare ogni cosa sotto l'angolo visuale dell'equilibrio generale. Considerazioni simili suscita la trattazione della domanda di beni di investimento; anche qui la Robinson aderisce ciecamente alla vetusta teoria dei rendimenti decrescenti che, vista nella prospettiva delle vicende economiche degli ultimi quindici anni, ispira essa stessa una fiducia ... decrescente. Ma, più che l'adesione a singoli atteggiamenti dottrinali, quel che conferisce un che di sorpassato alla trattazione è una inclinazione generale a co·nsiderare la disoccupazione come la peggiore calamità che possa affliggere - il sistema economico, e l'inflazione come un tonico salutare, anche se talvolta pericoloso: «Se fosse possibile ma11tenere una condizione di quasi-inflazione» (scrive la Robinson a pag. 152), « la politica dell'occupazione potrebbe essere più lineare e, comparativamente, più semplice da attuare ». Modo di vedere, questo, assai diverso da quello corrente oggidì. Ma guardiamo l'altra faccia della medaglia, e noteremo nel pensiero della Robinson innumerevoli spunti che suscitano estremo interesse proprio in relazione ai maggiori problemi delle economie contemporanee. La Robinson vede con favore un intervento pubblico nel settore degli investimenti, allo scopo di mantenere elevata la domanda globale; e, fin qui, non ci distacchiamo dalla tradizione keynesiana ortodossa. Ma, sempre a suo avviso, una volta che lo stato decida di effettuare investimenti pubblici, questa decisione implica di necessità una pia1ùficazione dettagliata degli investimenti; e qui ci si distacca netta1nente dal filone keynesiano. « Una volta accettata l'idea che è compito del governo assicurare la permanente occupazione - scrive la Robinson in una pagina particolarmente simpatica e vigorosa - si deve ammettere che affare governativo è garantire che i lavoratori risultino occupati nel 1nodo più utile possibile; vale a dire che i proge,tti di investimento si indirizzino verso i bisogni della collettività e non siano sottoposti ai capricci delle imprese alla -caccia di profitto » (pag. 153). E' impossibile per lo stato sottrarsi alla responsabilità di dare un indirizzo alla produzione, una volta che si sia assunta quella di assicurare un volume globale elevato di occupazione. Molti sostengono l'uso di metodi globali, capaci di influire sulla occupazione senza effettuare alcuna discriminazione sulla distribuzione della mano d'opera tra le varie utilizzazioni. Ciò è praticamente inattuabile, perché ogni politica di questo tipo 109 Bibliotecaginobianco

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