• Ernesto Mazzetti vado. Qui ci sono troppi laureati. Sbarrano la mia strada, ne sanno più di me, discutono di letteratura e di filosofia e io non ne so niente. Ho bisogno di un'altr'aria, più adatta a me ». Ecco un tipico complesso d'inferiorità del perito industriale. Per molti esso nasce sui banchi di scuola, trascinandosi durante tutta la vita. Eppure - queste sono osservazioni di un dirigente nazionale della Federazione Periti Industriali, - è possibile incontrare laureati in giurisprudenza, lettere, filosofia, « declassati» a impiegati d'ordine, uscieri, vigili urbani; ma ~on vi sono esempi di periti industriali ridotti al ruolo di operai, fattorini e via di seguito. Cominciando col tratteggiare la figura del « perito», questo prezioso elemento della struttura produttiva moderna, Neirotti passa quasi immediatamente a parlare della loro forn1azione. Vengono subito al pettine i nodi della situazione scolastica italiana. Fino ad alcuni anni fa le carenze dell'istruzione tecnica erano avvertite sul piano qualitativo. Testi in ritardo sull'evoluzione industriale, professori non sempre all'altezza, e sempre non all'altezza perché mal retribuiti, programmi poco oculati in rapporto agli obiettivi perseguiti. Basti dire che mentre ci si affanna per cominciare a formare gli « specialisti », già da· più parti si intravedono i limiti di una formazione unidirezionale, negativa nella misura in cui ostacola la mobilità del lavoratore da impresa a impresa, da settore a settore, e si richiede perciò ( è il caso di Pierre Naville, nel recente co,nvegno di Cachan) che la scuola primaria prepari il giovane ad un « ventaglio» di lavori differenti, sì da consentirgli una futura scelta in piena libertà e non da imporgliela. Ma da qualche tempo si sono aggiunti, impellenti, i problemi « quantitativi»: molti genito·ri si sono accorti che la « scuola dei poveri» - così era definito l'istituto tecnico allorché veniva frequentato esclusivamente da giovani desiderosi di conquistare nel minor tempo un diploma che consentisse loro di ottenere comunque un posticino, senza troppo preoccuparsi di arrampicate sociali - è quella che apre nella maggior parte dei casi i cancelli d'oro dell'industria. Contribuisce a quest'evoluzione psicologica, ed è un particolare che Neirotti si lascia sfuggire, anche l'espansione urbana che, compiendosi ai danni della percentuale di ruralità, finisce per intaccare alcuni miti, che di solito prosperano appunto in ambiente rurale: « cl1i lavora con le mani si sporca », « una laurea apre tutte le porte». Ecco quindi le file, o addirittura i bivacchi, di padri e madri innanzi alle segreterie degli istituti tecnici nelle ventiquattr'ore precedenti l'c;tpertura delle iscrizioni agli anni scolastici. Sintomo patologico delle deficienze di questo tipo di scuola, incapace di ospitare tutti i giovani che chiedono di esservi ammessi, e quindi di secondare una tendenza senza dubbio positiva che oggi si fa sempre più precisa. Ecco quindi le aule affollate all'inverosimile, gli incredibili turni per accedere ai pochi laboratori, alle esigue attrezzature; gli arbitrari spostamenti di masse di allievi dal settore meccanico all'elettrotecnico, dal chimico al meccanico, secondo l'affollamento presente in ciascuna branca nei diversi istituti. Ecco perché le industrie si lamentano dell'insufficiente preparazione dei neo diplomati, e perché questi ultimi trovano penoso l'inserimento nelle prime. 106 Bibliotecaginobianco
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