Nord e Sud - anno IX - n. 29 - maggio 1962

Recensioni stesso anarchico rifiuto, la stessa incontrollata ribellione che è all'origine del suo disagio. Anche il casuale incontro con degli operai, compagni di partito, che avevano diviso con lui i momenti della lotta partigiana, lo riconferma nella sua incapacità di poter riprendere un dialogo chiarificatore, di poter risuscitare quella fiducia nei valori dell'uomo, che lo avevano animato da giovane. L'unico aiuto, nella totale constatazione del suo fallimento, gli viene dalla voce della figlia, della giovane generazione: bisogna ricominciare da zero, nel segno d'una illimitata disponibilità mentale che è una garanzia di sganciamento dal passato: l'unica via di salvezza è quella di non considerare ogni verità conquistata come qualcosa di valido in assoluto, ma essere disposti a rimetterla ogni momento in discussione. Sotto molti punti di vista il romanzo di Onofri, se non altro per l'impegno che lo lega a situazioni e comportamenti tipicamente contemporanei, costituisce una lettura stimolante. Indipendentemente dalla vastità dei temi, che si sovrappongono nella narrazione, e che d'altra parte sono impliciti in questa maniera di porre i problemi, c'è nella « testimonianza» dello scrittore anche un aspetto politico; e non solamente perché è fin troppo facile tentare un'interpretazione del libro, attraverso una chiave, che lo stesso personaggio dell'autore ci offre, cedendo, se si vuole, alla suggestione di un « caso Onofri ». · Il nome di Fabrizio Onofri è anche troppo legato alla scissione che si verificò all'interno del P.C.I. · nel '56. Onofri in sostanza è un uomo, che non ha aspettato il XXII congresso del P.C.U.S. per mettere in discussione la democraticità dei metodi stalinisti, ma si è assunto il peso di una responsabilità personale nei confronti della realtà, che aveva sotto gli occhi, e se l'è assunto pagando il prezzo che riteneva giusto pagare in quel momento: l'abbandono del partito, che equivale al rischio di dover concludere in una amara constatazione di fallimento, di dubbio, di irresolutezza, quel rischio, cioè, che nasce ogni volta che si scelga di esprimere il proprio giudizio, momento per momento, di fronte alle scelte politiche, che ci vengono proposte. . '~::_· i Ora è probabile che qui lo scrittore si riproponga in termini più ampi quelle stesse motivazioni, che lo spinsero all'indomani dei fatti di Ungheria a lasciare il P.C.I.; come è probabile che nelle autoanalisi del protagonista del suo libro ci sia in ultima analisi il tentativo di un bilancio spirituale assolutamente personale. Comunque nasca il romanzo, insomma, è il documento della crisi di un uomo, che vuole rifiutare vecchi e nuovi miti ed interpretare la realtà in nome di un nuovo umanesimo, purificato dai pregiudizi e dagli equivoci che _ne avevano dissolto ogni valore rivoluzionario. Ciò che Roma 31 dicembre mette in discussione riguarda molto di più una certa mitologia contemporanea, che dei valori di fondo. Questi rimangono intatti, fermi, e sono « la libertà», « la lealtà», « la giustizia» che nel dialogo interiore del protagonista sono termini pronunciati a voce alta, senza timori di cedimenti ad una facile retorica. 91 Biblio ecaginobianco

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