Recensioni il senso d'un epoca. Sembra, quindi, che il motivo centrale del romanzo trovi le sue giustificazioni in un particolare atteggiamento mentale, che identifica l'angoscia e l'alienazione dell'uomo contemporaneo nella sostanziale impossibilità di compiere liberamente le proprie scelte, in .un mondo in cui si è condizionati sin dalla nascita dall'amb~ente, dalla famiglia, dalle strutture sociali: in queste condizioni ogni caratterizzazione jndividuale è praticamente impossibile, perché o si sta al gioco, ed allora non si saprà mai come si è arrivati ad una determinata conclusione, o ci si ribella anarchicamente e le forme di protesta sociale assun1ono gli aspetti più eversivi e ripugnanti. C'è tuttavia una terza possibilità ed è quella « disponibilità» morale che nasce dalla distruzione dei vecchi miti. Su queste basi, giudicare se l'atteggiamento dello scrittore rappresenti una reale soluzione del problema proposto è estremamente difficile: rimane aperta in ogni caso una serie d'interrogativi. Il moderno disagio del protagonista nasce dall'esigenza di un ritorno ad un umanesimo integrale, di fronte ad ogni schematizzazione di valori? Implica comunque una rinuncia all'azione nel ser1so di una trasformazione della società? Gioca sempre sottofondo una certa nostalgia per un'epoca in cui le scelte erano comunque più chiare, anche se più difficili. Da qui l'esigenza di un'analisi a tutti i livelli, un processo ad un costume e ad una società, come quelli che Roma oggi riassume, un processo a sé stessi, inserendosi nella storia di questo costume e di questa società. Diviso fra ideologia e letteratura Rorna, 31 dicembre vale molto di più come testimonianza, che su un piano letterario. Il travaglio ideologico, che accompagna la vocazione di scrittore di Fabrizio Onofri, esorbita la natura del suo narrare, diventa materia sofferta e dolente, che sente troppo l'esigenza di chiarirsi, di spiegarsi. Se il suo protagonista si ferma ad osservare Roma, la penna dello scrittore si fa convulsa, nel tentativo di rendere appieno la sua ansia: « Una città grande, stagnante da secoli, con più chiese che giorni dell'anno. Era quasi impossibile a quel tempo, che dentro Roma qualcuno cercasse amore onestà lealtà, trovandoli: come cercavano ciascuno a modo suo, Isabella Leo ed altri. .. Per un momento Leo tentò un raffronto con la città orizzontale: accanto alla Fascia intellettuale, intersecata a quella, si distendevano quasi concentricamente la Fascia bancaria e commerciale, insieme alla Fascia politica, la Giustizia, la Religione, il popolo minuto, la Miseria, sfrangiandosi l'una nell'altra, mai nettamente delimitate. Avevano quelle fasce una loro corrispondenza negli spessori e stati d'animo sovrapposti dell'uomo che si aggirava fra quelle mura? Difficile stabilirlo. » Trovare la chiave di questa città è per il protagonista trovare la chiave della sua esistenza: l'analisi che conduce si ferma quindi sul popolo; sulle matronali figure delle popolane romane, le inconsapevoli eredi d'un costume antico come la stessa città, le depositarie d'un principio matriarcale indistruttibile (e la genericità di questa analisi come le facili concessioni ad 89 Bibliçtecaginobianco
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