Nord e Sud - anno IX - n. 29 - maggio 1962

• Nello Ajello privilegio al quale, per avventatezza o per malintesa antiretorica, si è voluto rinunciare per sempre: « Adesso invidio i toscani soddisfatti della loro toscanità. Vorrei credere, come molti gentiluomini rosei, che Renato Fucini sia da ritenersi un maestro; e ancora vorrei che mi battesse il cuore se qualcuno dice Sassetta. Il mio scettismo è infranto, sciocco paradiso » (p. 9). La mancanza di cautele e sofisticherie letterarie con cui Laurenzi si addentra nella sua Toscana « rivisitata» può sembrare addirittura sorprendente. Mai, nel percorrere la sua disarmata esperienza di ~< ferito a morte ». lo scrittore si attarda a fare il difficile (se così possiamo esprimerci). La confessione di fedeltà alla sua terra (o almeno a ciò che essa serba ancora di autentico e di incorrotto) è totale, accorata, priva di riserve. E perciò il libro si fa più denso e colorito quanto più intensa appare, in esso, la ricerca di realtà vive di una loro forza antica e gentile, e perciò degne di quella fedeltà: si leggano, tra le cose meglio riuscite in tal senso, il « bozzetto venatorio-sentimentale» (è lo stesso Laurenzi a definirlo così) dedicato ai « passionisti della caccia» di Pietrasan.ta, o la descrizione dei cacciatori di Montecarlo, o il brano sugli anarchici di Carrara (« la civiltà, l'ordine, la forza del mondo, la fierezza, la scienza, l'amore, la severità, la gravità, la dignità: tutto questo assedia gli anarchici e li condarina », p. 22) o la pagina sulla stazione di Campiglia. Ci si addentri, infine, in quel mercato di Pistoia stipato di toscanissimi «omacci» e « gremito di suggestioni e di cattivi consigli estetizzanti», ai quali ultimi (pur conservando intatta ai toscani di professione, alla Malaparte, tutta l'avversione che essi meritano) Laurenzi ritiene bello ed opportuno soggiacere per un momento, perché « questa è l'importanza di avere una patria, e di tornarci talora, rompendo gli esilii » (p. 202). - Altre volte, e più spesso, l'ansia di proclamare la propria dipendenza spirituale da uomini e cose di Toscana può esercitarsi soltanto nel ricordo. E qui diventa più acuto e più complesso il senso dell'esilio, che non è soltanto la lontananza fisica dai luoghi dell'infanzia, ma da situazioni e stati d'animo ai quali si è finito per attribuire un valore compiuto, emblematico, e immobilizzarli; e che, come si diceva, sarebbe assurdo ricercare tali e quali, anche perché probabilmente non esistevano neppure, erano una proiezione di noi stessi: « Ho l'impressione che il vignaiolo celeste fosse lieto di noi: non peccavano o peccavano pochissimo. La nostra vanità si esauriva nella cura di procacciarci spilli da cravatta, di metallo cromato, che costavano sessanta centesimi ... Soffrivamo allegramente il freddo, andavamo al cinema una volta alla settimana, consideravamo le nostre biciclette il nostro lusso, fumava1no mozziconi di Macedo11ia; ed eravamo i ricchi. L'Arciprete e l'Uomo della Provvidenza potevano guardare a noi come ad agnelli: molti .di noi, effettivamente, furono condotti alla morte, qualche anno dopo. Adesso, in Santa Maria del Fiore, dal momento che riascolto una predica dopo vent'anni, mi rendo conto, persino con asprezza, di come le cose siano mu- . ' tate ... » p. 55). Ora l'aggancio alla tematica consueta di Laurenzi appare più visibile. 86 Bibliotecaginobianco

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