Nord e Sud - anno IX - n. 29 - maggio 1962

Recensioni Il nuovo volume di Laurenzi, Toscana delusa (Vallecchi, 1962), si presenta a riprendere e ad estendere questo genere di considerazioni. Esso raccoglie, secondo un particolare criterio selettivo d'ordine geografico e sentimentale, una serie di scritti rientrati nella più recente produzione giornalistica del Laurenzi. La tematica che gli era diventata consueta appare modificata nell'adattarsi a una diversa disposizione psicologica, a luoghi· e personaggi ritratti con animo poeticamente più maturo o più aperto; il tipo di scrittura - che si attiene sempre ad una geometria ardua ed esatta, senza scadimenti di forma - qui deve rinunciare spesso ai suoi più aspri divertimenti, di fronte a stati d'animo ad esprimere i quali non sono più sufficienti l'acume del critico e il rigore del giustiziere. Si assiste, in un certo senso, ad una chiarificazione dello scrittore con se stesso, alla esposizione sincera e completa di una serie di precedenti affettivi che, perché si potesse ricostruirli dalle colonnine pubblicate sul Mondo, erano necessari o una particolare esperienza letteraria o la diretta conoscenza dell'autore. La zona d'ombra della passione e della maliconia si allarga in maniera sensibile, imprevista. L'ambito delle cose e degli uomini « che devono essere pudicamente amati » diventa un paesaggio dai confini precisi, oltre che un tempo, cronologico e spirituale, che a quel paesaggio si collega: la maremma, l'Elba, le città toscane, l'infanzia familiare, il clan dei coetanei adolescenti, il « devastante provincialismo » dei diciott'anni. · È questa omogeneità di motivi e di atmosfera (che non è compressa da qualche isolato sconfina1nento, o ritorno, verso temi di vita romana) a dare al libro una sua compattezza narrativa. Gli elzeviri che lo compongono non valgono più come pretesti estemporanei, come episodi minimi, e sia pure felici, di una vocazione di saggista impegnato e brillante. Qui i personaggi sono tutti di una medesima natura, e il metro secondo il quale essi vengono giudicati, anch'esso identico per tutti, è quello della nostalgia e della misericordia. Il compito del cronista appare ridotto al minimo, perché non si tratta di scoprire nulla di nuovo, ma di ispezionare i guasti che il tempo ha prodotto nelle cose note e care, e in chi ad esse si rivolge con occhi adulti, diversi. Ha dovuto essere una pratica scottante e insieme liberatoria, per un critico di costume come Laurenzi, esaminarsi alla stregua di un personaggio, con tutto un carico di convenzioni e di inibizioni accumulato per colpa degli anni e dell'intelligenza ( « il nostro è un cuore accademico»), e confrontarsi in tutta umiltà col proprio mondo originario: fino a scoprire che l'unica cosa che conti sono ancora le ragioni del sangue, « certi ostinati ricordi, i giovani e spenti amori, l'empito che fu della fede». La nota centrale, elegiaca del libro è data dalla coscienza della irrevocabilità di quel mondo; del _quale, nel rimpianto, si comprende e giustifica tutto, come si perdonano al conterraneo Carducci « migliaia di esecrabili versi» ( «la sua malinconia era tenace ed angusta: ne rampollavano ricordi severi e anche, fuggevolmente, soavi... Non gli piaceva o non gli riusciva di intenerirsi; per questo siamo infelici», pp. 36-37). Anche il « devastante provincialismo», cioè « la fierezza frivola di sentirci toscani», è come un 85 Bibliotecaginobianco ....

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