Nord e Sud - anno IX - n. 29 - maggio 1962

• Mario Caciagli sistema democratico quanto il timore del socialismo. Si vedano proprio le pagine del Vita-Finzi su Emile Faguet: le caste, le aristocrazie funzionali, le · Camere Corporative sono concepite per frenare « lo scivolamento continuo della democrazia verso il socialismo». E si vedano anche le posizioni di Croce, del Croce del primo venticinquennio del secolo, a cui sono dedicati tre saggi, del Croce non ancora approdato alla « religione della libertà ». Il suo liberalismo non era ancora divenuto una fede e, contro le correnti democratiche, subiva l'influsso delle concezioni autoritarie della Germania, anche nella mist1ra in cui era impegnato in una giusta polemica antipositivistica e contro altre forme di materialismo e di astrattismo; ed era impeg11ato altresì in una critica serrata di una certa interpretazione « massonica» e genericamente egualitaristica della democrazia. Più arduo è invece comprendere fino in fondo la ragione degli atteggiamenti militaristi, delle aspirazioni alla violenza e alla guerra, della fiducia in un conflitto come rinvigorimento della civiltà, tutti sentimenti fatti propri da tranquilli e riflessivi studiosi. Dopo quarant'anni di pace, diversi intellettuali europei cominciarono a credere nelle possibilità rigeneratrici di una grande guerra. Senza contare Marinetti e la sua « igiene del mondo», Sorel I1 aveva sempre sostenuto, Prezzolini ci aveva spesso accennato, Pèguy accettò con gioia l'ordine di mobilitazione, Croce parlò di « religiosa ecatombe ». Quarant'anni di pace avevano portato ricchezza, benessere e libertà: eppure gruppi di uomini, e fra i più preparati e influenti, cominciarono ad essere stanchi e insoddisfatti. « L'ascesa era stata forse troppo rapida - ha scritto in proposito Stefan Zweig - gli Stati e le città erano divenuti potenti troppo in fretta, e la sensazione della forza, nell'uomo come nello Stato, induce sempre ad utilizzarla o ad abusarne... Ovunque agli Stati congestionati montava il sangue alla testa ». È una spiegazione fornita con il ricorso alla psicologia, e sia pure psicologia collettiva. Che, per capire certi fenomeni, si debba veramente ricorrere a concetti freudiani, come quello, di possibile utilizzazione in questo caso, del « disgusto della civiltà »? Un'altra considerazione, e non certo positiva, il libro spinge a fare sui rapporti fra politica e letteratu-ra, capaci di provocare deleterie conseguenze quando la seconda prende il sopravvento sulla prima, tanto peggio se si tratta di cattiva letteratura com'è in alcuni dei casi ricordati dal Vita-Finzi. Molte tendenze antidemocratiche erano suggerite da « gusto estetico» o da << curiosità intellettuale». E parliamo di gente già ricordata come Marinetti, come Soffici - che confessava di non essersi mai occupato di politica, ma pur forniva con le vicende di Lemmonio un'entusiastica giustificazione dell'« azione diretta » -, come D'Annunzio, come Prezzolini, un letterato, in fondo, sensibile a molti influssi ma capace solo di pervenire ad un discreto grado di « confusionismo». E letterati erano i francesi, come Faguet, come Sorel (« un poeta », diceva di lui Croce, e parlava con tutta serietà), come Pèguy che voleva vivere e sentire « misticamente» e si ritrovò felice con i galloni d'ufficiale sul fronte della Marna. E, infine, viene anche da pensare che diversi di questi scrittori difettas76 Bibliotecaginobianco

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