• Antonio Ghirelli lo ignora; esso fa parte del costume sociale, in un'età ormai tornata al gusto delle gare sportive, della vita all'aperto, delle grandi adunate, dei · cortei, delle processioni, dei riti di vasto respiro ». È caratteristico, infatti, che il fenomeno risulti più accentuato non nei paesi anglo-sassoni, in cui pure la tradizione sportiva è fortissima, ma in quelli totalitari. L'Italia fascista e la Russia di Stalin utilizzano lo sport come strumento di propaganda ed insieme se ne innamorano come di una coreografia anche liturgicamente congeniale alla loro vocazione; la Germania nazista si spinge oltre, ravvisando in questo genere di spettacolo un ennesimo pretesto di esaltazione razzistica, con un ritorno neo-pagano ai « riti » del sangue, ai sacri misteri della lontana barbarie germanica. Lo sport diventa, al tempo stesso, un surrogato molto moderno della religione come « oppio dei popoli », proprio nel senso marxistico del termine, giacché serve a dirottare i giovani e spesso anche gli anziani da interessi, passioni, dibattiti ben più pericolosi per la conservazione dell'ordine sociale. Ovviamente, la propaganda esercita un forte richiamo anche sugli atleti militanti, ne « galvanizza » le risorse e ne «valorizza» le imprese (usiamo la terminologia dell'epoca), instillando nelle masse una sorta di mistico entusiasmo per i più valenti sportivi che un papa esalterà addirittura come campioni della Cristianità. L'Italia fascista fa strage di vittorie nelle competizioni mondiali più popolari come i due Giri ciclistici, la Coppa Rimet, i Giochi Olimpici, i circuiti automobilistici, e lancia nei cieli le sue « aquile azzurre » a mezza strada tra la tensione ideale e la minaccia a mano armata. Il lavoro compiuto dai propagandisti del regime lascerà, naturalmente, tracce profonde nell'animo dei giovani anche quando essi non saranno più tali, la dittatura sarà svanita e la guerra perduta. Questa è una delle ragioni che spiegano il colossale sviluppo del « tifo » sportivo nel secondo dopoguerra: la passione per siffatto tipo di spettacolo non è più esclusiva dei giovanissimi, ma travolge gli uomini dai 30 ai 50 anni, molti dei quali, tornando dai campi di battaglia o dalla prigionia, uscendo dagli orrori · della guerra civile e dalle delusioni del crollo fascistico, chiedono allo sport il paradiso artificiale dell'oblio. Mano a mano che diventa chiaro nel paese come alla caduta della dittatura di estrema destra non farà seguito alcuna rivoluzione di estrema sinistra, affluiscono nei ranghi della Grande Armata dei Tifosi anche le masse inizialmente meno inclini ad abbandoni di fondo qualunquistico. Perfino tra gli intellettuali, al contrario di quanto accadeva prima della guerra, lo sport è di moda, almeno quanto il cinema neo-realista e la letteratura impegnata. Il cerchio si chiude: · 10 Stadio e il Giornale Sportivo sono i templi della nuova fede del secolo. 58 Bibliotecaginobianco
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