Saggi vamente di questa fase, ebbe a dire che « Il metodo· sarebbe nato soprattutto dallo svolgimento del lavoro comune: e sarebbe stato non già il risultato di un'elaborazione dall'alto, o di un compromesso fra i collaboratori, ma l'espressione di una visione comune, definita al lume della propria e dell'altrui esperienza d'indagine ». Della composizione del gruppo di studio, dello schema gene.rale secondo il quale fu articolata la sua attività, della problematica che i singoli ricercatori vennero man mano mettendo in risalto nonché delle vicende di questo esperimento dirò in seguito. Qui vorrei solo mettere maggiormente in risalto che questo fu il primo tentativo di tal genere ed al quale più volte si è dovuto far riferimento negli anni successivi e, al tempo stesso, vorrei sottolineare una posizione, direi, ideologica, che Friedmann ebbe ad esprimere mentre il gruppo era, ormai, al lavoro 10 : « La comunità che stiamo studiando è comunità umana, è più che ambiente (fisico ed umano), è attività di soffrire e creare. Essa interpreta quel che subisce e cerca di trasformare interpretando. È cultura (cioè modo di sentire e di risolvere i problemi) in crisi. È una società con un tipo di coscienza, che cambia (che entra nella coscienza storica, si suol dire). Cambiamenti avvengono in quel che si accetta come dato ed in quel che si crede di poter cambiare. In certe aree di vita si crea un vuoto - vecchie forme di ' vita cadono e le nuove non sono ancora pronte -, nascono,, quindi, le pseudo-soluzioni, gli astrattismi ». Logica, a questo punto, la domanda « che cosa dobbiamo e che cosa possiamo fare noi?» che Friedmann, onestamente, poneva prima di tutto a sé stesso, interpretando anche quello, che era uno stato d'animo di coloro, che si erano venuti a trovare a studiare i « Sassi ». E lui stesso ne tentò una risposta dicendo « È evidente: dove tutta una cultura, un modo di vita cambia (o, perfino crolla) gli aiuti tecnici non bastano; sono, al massimo, aiuti verso nuove forme di cultura. Che diritto abbiamo noi di intervenire? Quale è o dovrebbe essere la nostra filosofia di intervenire? Certamenute dobbiamo distinguere tra problemi e problemi. Ci sono i problemi intimi, quelle tensioni direi poetico-metafisiche, una certa sensibilità umana, che si esprimono in vari aspetti della vita. Studiandoli aiutiamo noi stessi allargando la nostra esperienza umana: non possiamo pensare ad intervenire nella soluzione di problemi di- questo genere (sarebbe come voler abolire l'umanità stessa). Ma, poi, vi sono altri problemi (sarebbe utile tracciare gli esatti limiti tra i due gruppi di problemi, tensioni direi ester10 Da· una lettera del Prof. Frederick G. Friedmann al Prof. Ludovico Quaroni, membro del gruppo di studio, in data 18 novembre 1951. 107 Bibliotecaginobianco
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