Vittorio de Caprariis gonisti della vita politica americana. E tuttavia, quando si leggono certe critiche alla relativa passività dell'Amministrazione Kennedy, si ha_ l'impression~ che in esse vi sia più di un elemento di verità: « paragonato ad Eisenhower o a Nixon - ha affermato Joseph Rauh, uno dei dirigenti della lega degli « Americans for Democratic Action » - Kennedy va benissimo. Ma paragonato alla grandi speranze che noi avevamo, egli rappresenta un'amara disillusione ». La formula di Rauh potrebbe essere elevata a monito ai suoi simili a non farsi mai soverchie illusioni; e insieme, se non fosse per la prima frase, potrebbe meritare l'obiezione che, a furia di descrivere troppo brutto il purgatorio per guardare al paradiso, si rischia di finire all'inferno! Voglio dire che le parole di Rauh mi sembrano caratteristiche di quel tipo di mentalità progressista che scambia per possibilità reali le proprie speranze o illusioni, e crede che siano intervenuti dei mutamenti negli uomini e nelle cose in quanto, muovendo da una visione tutta immaginaria degli uni e delle altre, finisce col convincersi che uomini e cose siano mutati solo perché ha impiegato troppo tempo a comprendere la loro realtà effettuale. Questo tipo di mentalita è la peggiore che vi possa essere i11 politica, perché prepara delusioni e frustrazioni terribili, spinge ad inquietudini irriflessive ed irrazionali, porta a giudicare della politica in modo affatto sbagliato e finisce col fare il male con le migliori intenzioni del mondo. Il progressismo americano ( e non solo quello americano, in verità!) è stato sempre un pò affetto da questa malattia; e, francamente, sarebbe tempo che ne guarisse. Ma il problema non è qui di « grandi speranze » o di « alte illusioni », Chi scrive, forse per deformazione professionale di studioso di storia, non ha mai potuto accettare la contrapposizione in bianco e nero tra l'Amministrazione repubblicana, che aveva governato gli Stati Uniti per otto anni, e le promesse che facevano intravvedere i democratici, t1na contrapposizior1e che ebbe molta voga negli Stati Uniti nei mesi dell'ardente campagna elettorale del 1960 (e questo si può comprendere, date le passioni suscitate della lotta politica) e che ebbe anche qualche voga in Europa ed in Italia (e questo si comprende molto meno, perché almeno gli osservatori stranieri avrebbero dovuto conservare un maggiore controllo critico). Le critiche e le riserve, anche di grande rilievo, che si potevano e si dovevano fare, e che abbiamo fatte, alla politica interna ed estera di Eisenhower non ci inducevano, certo, a pensare che gli Stati Uniti fossero stati travolti in una spirale reazionaria, come amavano pensare in parecchi anche in Italia; e meno ancora ci inducevano a sottovalutare le difficoltà obiettive (soprattt1tto i11politica estera) che i repubblicani si erano trovati ad affrontare, e che i democratici si 8 Bibliotecaginobianco
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