Gennaro Magliulo qualche anno a questa parte: determinata molto spes·so o da superficiali e interessate polemiche sorte per via di uno spettacolo stupidamente censurato, o da certo tipo di « inchieste » che inflazionano sempre più spesso la pubblicistica nazionale, o, infine, da libri e saggi che quasi sempre si •risolvono in un generico « j'accuse » contro coloro che tollerano l'attuale condizione del teatro di prosa in Italia. Non pare, però, sino ad oggi, che tutto ciò abbia prodotto alcunché di concreto: sia per la varietà e la leggerezza degli interventi più clamorosi, sia per la mancanza assoluta di sistematicità nell'affrontare i problemi che s'intendono risolvere, sia per gli interessi che muovono l'una o l'altra corrente, sia, infine, per il « trasformismo » che, dominando anche questo campo di attività, assai di rado consente di individuare posizioni precise, di conseguenza rendendo sterile ogni discorso, ancor più quando esso è intriso di polemica. Ed è certo che cotesto «trasformismo» (che consente di ritrovare in veste di affratellati accusatori, impresarii, attori, autori e funzionari la cui responsabilità, per l'attuale stato di cose, non è lieve) è il peggior male, la più pesante remora per ogni tentativo di serena analisi del problema, prima, e di un attento studio per risolverlo, poi. Di· conseguenza, più del brillante, e a tratti incandescente, dibattito promosso dalla TV italiana, più ancora della celebrazione della giornata internazionale del teatro (il cui successo, con i teatri presi d'assalto da un pubblico non pagante e in grandissima maggioranza formato da giovani, è servito a dimostrare nuovarr1ente in modo lampante alme110 questo: che esiste una gran massa di spettatori « disponibile»), l'avvenimento più significativo è certo qt1ello realizzatosi in Napoli tra il 17 e il 19 marzo scorso: il secondo convegno di studi promosso dal periodico « Teatro Nuovo ». Tre giorni di lavoro (tema unico: la legge sul teatro) c11i hanno partecipato critici che rappresentavano «testate» le più disparate e, talvolta, contrastanti; cosicché la ragione di certe assenze, non involontarie, va ricercata più in una auto-discriminazione cui hanno sentito il bisogno di adeguarsi i più coerenti tra i rinunciatari, che in una scelta dettata dagli organizzatori: i quali hanno invece questa volta, e giustamente, allargato al massimo la « base ». Perciò, volendo riconoscere ai facenti parte di questo « gruppo di lavoro » un atteggiamento comune, conviene identificarlo nella riconosciuta opportunità, anzi necessità, che i più disinteressati teatranti intervengano direttamente, (in modo pubblico, collegiale e responsabile) nel dibattito· che s'è acceso intorno al progetto di legge governativo che sarà sottoposto tra non molto all'approvazione delle Camere. Insomma ai critici drammatici più sensibili è finalmente apparso chiaro quello che in altri campi e per altre categorie è lapalissiano da tempo: che è impossibile isolarsi in teorici arzigogolamenti e, contemporaneamente, lamentarsi di come vadano le cose. Ci sembra quindi veran1ente importa11te la dichiarazione finale del con.vegno che, tra l'altro, suggerisce ai legislatori addirittura il testo del primo articolo della auspicata legge sul teatro: « lo Stato considera il 52 Bibliotecaginobianco I \
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