Luigi Amirante modo da ridar prestigio alla laurea dottorale « riservandola a quelli che ~i rivelano capaci di raggiungere i gradi più alti negli studi e di dedicarsi alla ricerca ». All'ultima domanda - « qual'è l'atteggiamento che di fronte alla crisi 1:1niversitaria hanno assunto gli uomini responsabili della cultura e della politica nazionale » - il Colonnetti risponde riportando larghi squarci di articoli, relazioni, discorsi, atti a mostrare quanto viva sia la preoccupazione negli uomini di cultura per le sorti della Università italiana. Giova ora soffermarsi più a lungo sulla seconda parte del volumetto, nella quale sono riportati discorsi e relazioni dell'A. nel triennio 1958-1961 che toccano alcuni punti nodali del problema, come tra gli altri quello della disciplina costituzionale della scuola e quello dell'autonomia universitaria. L'art. 34 della Costituzione assicura che « i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». La prima barriera da abolire, allora, è quella che trae origine da una preconcetta discriminazione dei titoli di ammissione, quale si esercita oggi ai danni dei giovani che appartengono alle classi meno agiate. Fortunatamente ci si è già messi su questa strada, riconoscendo l'accesso a molte facoltà universitarie anche a giovani non in possesso del tradizionale diploma di maturità; l'esperimento in corso ormai da un anno ha dimostrato che la strada scelta è quella buona e che non si è verificato in nessun modo quella corsa all'iscrizione all'Università che da più parti veniva paventata proprio per scongiurare l'abbattimento della detta barriera. Si capisce, però, che, pur accogliendo tutti « i capaci e meritevoli», l'Università non è tenuta affatto a « laurearli » tutti; perché di capacità e inerito non può parlarsi in senso assoluto. « Alla scuola spetta il compito di metter ciascuno in grado di acquistare coscienza di quel che può fare utilmente, di riconoscere cioè i propri limiti e di accettarli »; ma questo non significa che ai meno adatti e preparati l'Università possa dare tacitamente, e troppe volte forse sgarbatamente, il benservito; essa « dovrà offrire mezzi ed occasioni di qualificazione in più ristretti e modesti settori di studio e di lavoro». Di qui la necessità di modificare, maggior1nente articolandoli, i piani tradizionali di studio delle nostre Facoltà. Ma qui il discorso si fa particolarmente delicato e si aggancia a quello spinoso e complesso dell'autonomia universitaria, della quale parla l'art. 34 della Costituzione: « le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato ». Non si tratta, allora, di « trasformare obbligatoriamente in Enti autonomi tutte le istituzioni di alta cultura esistenti, bensì concedere l'autonomia a quelle che intendano valersi di questo loro 'diritto' e che diano affidamento di volerlo e poterlo esercitare a fine di bene comune ». Il_principio di autonomia può attuarsi, perciò, con una certa gradualità, lasciando allo Stato il compito di stabilire le condizioni alle qt1ali le singole Università potranno aspirare all'esercizio di questo diritto; in questo senso il precetto costituzionale accenna a « limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». 42 Bibliotecaginobianco
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