Epigoni del meridionalis1no con1unista possia1no non rilevare che in definitiva il bilancio del riformismo socialista, malgrado gli aspetti di esso denunciati da Salvemini, è attivo, più attivo di quello dell'agitazione contadina promossa dai comunisti nel Mezzogiorno in questo dopoguerra, senza lasciare nella propria scia una rete di istituzioni contadine paragonabile a quella tessuta nei comuni padani che le « vecchie barbe » socialiste avevano conquistato in decenni ormai lontani e che ancora amministrano, come amministrano le cooperative fiorenti che sono riusciti a fondare. Ma se c'è un giudizio di Salvemini che invece rimane pienamente valido, e che è risultato più che fondato alla luce di successivi avvenimenti, è quello sul massimalismo socialista. Anche nei confronti del 1neridionalismo di Nitti, Villari non propone un'interpretazione gran che diversa da quella di Salvadori: rico11osce che esso si fondava su un « piano di riforme » che « era più vasto e conteneva elementi di maggiore suggestione e modernità rispetto a1 riformismo tradizionale »; ma ne indica il limite nel fatto che esso « contava sulle stesse forze e sugli stessi processi da cui era sostenuta la linea giolittiana e che componevano un insieme economico e politico tutt'altro che propizio al superamento del dislivello tra le due parti del paese ». Sono più o n1eno le stesse ragioni per cui Salvadori aveva parlato, a proposito di Nitti, della « morte onorevole del paternalismo nella tematica meridionalista ». Ma proprio per Nitti si offriva forse a Villari l'occasione di un discorso meno semplicistico, l'occasione di uno svolgimento critico della giusta premessa da cui lo stesso Villari prende le mosse (la modernità di Nitti, n1algrado « la sua visione di un Mezzogiorno 'ricco' prima del 1860 », una visione che da Giustino Fortunato, giustamente, fu considerata del tutto fantastica). Si può anche dire che Nitti « contava sulle stesse forze e sugli stessi processi da cui era sostenuta la linea giolittina »; ma poi si dovrebbero indicare concretamente queste « forze » e questi « processi » e le ragioni per cui la « linea giolittiana » prevalse di gran lunga sulla « linea » proposta da Nitti. Si ha invece l'impressione di un discorso di tipo missiroliano e orianesco in versione di sinistra quando queste indicazioni non ci sono o sono insufficienti a documentare le definizioni politiche di carattere generale, o addirittura generico. E questa osservazione, ci sembra, vale anche per ciò che Villari scrive di Dorso: scrittore politico del quale si deve pur dire che è egli stesso permeato dalle suggestioni della « storiografia giornalistica » alla Oriani e alla Missiroli. Si deve d'altra parte aggiungere cl1e Villari coglie giustamente la differenza fra l'atteggiamento di Dorso e quello di Salvemini nei confronti della piccola borghesia meridionale, caso disperato per il secondo, forza 29 Bibliotecaginobianco
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