Nord e Sud - anno IX - n. 28 - aprile 1962

Recensioni scismo. La destra turatiana avrebbe avuto la possibilità di compiere u~a azione efficace e positiva, ma la sua colpa fu di restare prigioniera e succube fino all'ultimo momento - quando, cioè, era ormai troppo tardi - della sinistra massimalista: ai riformisti Salven1ini rimprovera quindi mancanza di coraggio, di tempra e di decisione. I massimalisti, da parte loro·, facevano sfoggio di programmi rivoluzionari, ma aspettavano che le masse si muovessero di pro,pria iniziativa: Salvemini cerca continuamente di coprirli di ridicolo, e li accusa di inintelligenza, verbosità, inconcludenza. Anche se in seguito furono i dirigenti della Confederazione del Lavoro e gli altri socialisti riformisti a vantarsi di aver evitato la rivoluzione, Salvemini sostiene che il merito vero fu proprio dei massimalisti, « perché furono essi che parlarono senza tregua di una incombente rivoluzione senza fare altro che delle chiacchiere». Con i massimalisti Salvemini mette insieme anarchici e comunisti, senza distinzione. Né il congresso di Livorno e la nascita del partito comunista gli sembrano avvenimenti così nuovi e importanti da meritare qualcosa di più delle poche righe che egli dedica loro. Di un altro gruppo politico sono posti ben in evidenza l'origine, i caratteri e la funzione svolta nel corpo politico italiano: i nazionalisti. Arp.malati di cancro imperiale, protagonisti delle giornate di maggio, gravide di conseguenze per l'istituto parlamentare, militaristi, sarebbero stati loro a fornire più tardi una dottrina coerente ai fascisti. Furono i nazionalisti ad esasperare « il pessimismo della vittoria », a gonfiare l'idea della « vittoria mutilata» e della necessaria « ricompensa» all'Italia. In piazza e sui giornali contribuirono ad accrescere il caos dei primi due anni del dopoguerra. Dopodiché si sarebbero atteggiati a paladini dell'ordine, costituendo il traitd'union fra fascisti e militari nella violenza organizzata e tollerata. Come nel primo libro, Salvemini fa ancora una netta distinzione fra i due periodi del dopoguerra e torna ad affermare che il movimento• operaio, se non sconfitto, era già relegato su posizioni difensive quando il fascismo prese ad imperversare. Il 1919 e il 1920 furono i due anni più critici del dopoguerra. Dopo, la nazione cominciava a riassestarsi.- Essa stava uscendo da una convalescenza dopo la grave malattia della guerra mondiale, dice Salvemini, ma le capitò la disgrazia di essere curata con il chinino fascista. Per Le lezioni di Harvard Salvemini usufruì del materiale raccolto per La dittatura fascista in Italia (e molti episodi e brani sono riportati dal primo libro nelle dispense harvardiane), ma altro ancora ne raccolse, una quantità di dati, cifre, citazioni, cronache, tanto più considerevole se si tien conto delle condizioni in cui lo sto:r;ico doveva lavorare, lontano dal1'ltalia e dalle fonti meglio reperibili. Ma la mole e la fatica della ricerca sono sollecitate, lo si avverte ad ogni pagina, dallo spirito critico e dalla passione politica dell'autore. Ed è la passione. politica che alimenta il sarcasmo e l'ironia, da cui, pur nell'amarezza del giudizio d'insieme, Salvemini non rifugge. Il sarcasmo, insieme alla cura dei particolari e all'amore per i fatti precisi, resta la caratteristica permanente della sua opera di pubblicista e di storico contemporaneo, dietro ai quali sta sempre il polemista. · 103 Bibliotecaginobianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==