Mario Caciagli dell'olio di ricino, l'uso del fez, della camicia nera e del pugnale, costume degli arditi della guerra, il canto 'Giovinezza', il saluto romano, i riti e le parole d'ordine. Lo stesso D'Annunzio avrebbe marciato sulla capitale, s~ non lo avesse fermato ~onomi con una somma elargitagli al momento opportuno. ·La marcia su Ro1na la fece Mussolini, che appena un anno prima aveva mostrato di voler porre fine alla guerra civile aderendo al patto di pacificazione, rigettato subito dopo dai suoi seguaci; ed essa non fu una- rivoluzione, dice Salvemini, per tacciare come ridicole le tesi dei propagandisti fascisti, ma « qualcosa di mezzo fra una ' sedizione militare ' e un 'intrigo dinastico', che sotto le vesti di una 'rivoluzione popolare' si proponeva di costringere il Re o all'abdicazione o a compiere un 'colpo di stato' contro il Parlamento ». Si trattava di colpire il Parlamento non perché la paralisi di questo fosse divenuta intollerabile, ma proprio perché si era profilata la minaccia che essa potesse venir superata grazie ad una coalizione fra democratici, popolari e socialisti riformisti. Le pagine dedicate ai due maggiori partiti italiani sono fra le migliori delle Lezioni di Harvard. Il giudizio sul partito popolare appare piuttosto positivo e non è fuor di luogo pensare che su di esso abbiano influito la stima e l'amicizia che legarono il laico Salvemini con il sacerdote, segretario di quel partito, negli anni di esilio. Salvemini mostra di ritenere che la grande maggioranza dei popolari fosse sinceramente democratica, iscritti, dirigenti di base e molti fra quelli di vertice (fra cui sopratutto e naturalmente Don Sturzo), che 'il partito assolvere una funzione positiva fra le masse contadine, che Don Sturzo forse in buona fede quando reclamava « la libertà per tutti »; non può fare a meno di mettere in evidenza, però, l'equivocità dell'autonomia del partito dalle autorità ecclesiastiche e soprattutto il peso e l'influenza negativa che su di esso aveva la piccola, ma potentissima minoranza degli aristocratici, dei proprietari terrieri e dei grandi personaggi che godevano della fiducia dei cardinali e degli alti funzionari del \ìaticano. Questi gruppi progettavano di intralciare il tentativo di intesa dei popolari con i socialisti di Turati nell'ottobre del 1922. La marcia su Roma venne a dissolvere tutte le preoccupazioni delle banche cattoliche e del cardinale Gasparri. Una più concreta possibilità di alleanza fra popolari e socialisti si era profilata nell'ottobre dell'anno precedente, quando il congresso nazionale di Venezia del partito di Don Sturzo tese la mano ai socialisti per « una politica di realizzazioni e di dirette responsabilità». Scrive Salvemini che, << se i socialisti avessero accettato questa offerta, un anno prima della marcia su Roma sarebbe sorto un governo solido, sostenuto in Parlamento da una forte maggioranza, il quale avrebbe ristabilito la pace pubblica in Italia e salvato dalla rovina le istituzioni parlamentari». Ma il partito socialista era paralizzato dalle velleità rivoluzionarie dei massimalisti e dalla indecisione dei riformisti. Severo è il giudizio di Salvemini sul partito socialista e sulle sue responsabilità nella crisi del dopoguerra e rispetto all'avvento del fa102 Bibliotecaginobianco \ \
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