Nord e Sud - anno IX - n. 28 - aprile 1962

Recensioni La storia empirica è stretta parente della sociologia descrittiva: come questa, necessaria e importante, resta infeconda se non si appoggia su quelle idee generali, che forniscono invece la possibilità di ordinamento e di sintesi. Empirista, Salvemini ·detestava la filosofia, ogni filosofia, e respingeva « schemi aprioristici e slogans vuoti di senso >>, tacciando come tali le proposizioni della filosofia della storia. Eppure sono « le visioni del mondo » che permettono di sistemare e penetrare nel caos degli eventi. Nelle Lezioni di Harvard Salvemini trova modo di polemizzare COD;tro il ricorso a concetti generali per spiegare il fascismo: qui è il Volksgeist respinto come inutile e fuori luogo. I limiti del suo metodo si vedono in questo testo dòve, pur inserendo il fascismo in più vasto spazio storico, egli mostra di non averne compreso in pieno la natura e le origini reali. Viene troppo spesso l'impressione, scorrendo le pagine delle Lezioni, che il fascismo sia ridotto al movimento squadrista e ai contorcimenti teorici e pratici di Mussolini e che i fascisti siano una banda di avventurieri e assassini. Se il fascismo fu anche squadrismo, è scontato che esso fu realtà ben più vasta e complessa: se solo con gli anni la riflessione storica ne ha fatto una categoria, è anche vero che contemporanei - pensiamo a Salvatorelli, a Gobetti, a Gramsci - ne avevano già individuato le caratteristiche e le componenti più vere. Salvemini non capì, o avvertì solo in parte, tanto in sede politica che in sede storica, come il fascismo fosse connaturato alla classe dirigente italiana, che lo covava da almeno trent'anni e che nella crisi e nella confusione del dopoguerra trovò modo di soddisfare non solo e non tanto un moto improvviso di rabbia e reazione all'imperversare dei moti di piazza e agli scioperi a catena, ma la sua vocazione più intima. Salvemini conosceva, e puntualmente denunzia, le connivenze fra autorità militari e di polizia da un lato e squadristi dall'altro, i foraggiamenti di industriali e agrari a Mussolini e ai suoi seguaci, i cedimenti e le acquiescenze dei governanti; ma non riporta i singoli « fatti » a motivi di fondo che coordinino e diano una tinta unita a quel quadro. Le vicende e gli elementi del dramma italiano del dopoguerra - e gli elementi e le vicende del periodo . precedente - sono esaminati con esattezza, ma non vengono legati e posti in rapporto fra loro. Non ci pare azzardato affermare cl1e dal libro salta fuori il concetto di una convergenza occasionale fra un gruppo, sempre più largo, di individui esaltati, violenti, talvolta coraggiosi, smaniosi di agire dopo l'esperienza della guerra in trincea e dell'impresa fiumana, e le velleità repressive e vendicative della grossa borghesia e del ceto medio, a cui i « rossi» avevano fatto prendere grosse paure. Salvemini mostra così d'indignarsi e di condannare quei militari e quegli agrari che permisero l'azione delle squadre e aprirono a Mussolini la via del potere. Non si sofferma ad approfondire · il concetto, pur intuito, che quei gruppi non permisero, ma crearono essi stessi il fascismo, in quanto espressione della loro indole reazionaria. Il · . fascismo, nella sua accezione ristretta di movimento politico-militare, era 99 Bibliotecaginobianco

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